Teatri di Vetro, magia ed emozione… Iperrealismi, Vannoni e Scoppin

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Teatri di Vetro - 01 Quotidianadi Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

Ospiti regolari di Teatri di Vetro i riminesi Paola Vannoni e Roberto Scoppin hanno presentato all’edizione numero 8 del Festival romano il primo capitolo della nuova trilogia Tutto è bene quel che finisce, i cui capitoli, come si legge nelle precise e divertite note di regia, sono concepiti sia come performance autonome, della durata ancora da definire, sia come un’unica partitura.

Come nei loro lavori precedenti la drammaturgia di Vannoni e Scoppin, parte dall’analisi della parola intesa come generatrice di senso e come veicolo ideologico. Attraverso una recitazione antinaturalistica, pacata, sussurrata, flemmatica sino a sfiorare la ieraticità, Vannoni e Coppin mettono in evidenza le strutture interne delle parole come meccanismi di senso ricordando al pubblico la responsabilità cui è chiamato ogni volta che (si) parla. Dietro il luogo comune e il buon senso che sono due delle coordinate su cui si muove questo primo capitolo, l’anarchico non è fotogenico, si celano sempre scelte di campo, valori e priorità che si pretendono comuni e condivise e che Vannoni e Scoppin mostrano con dialettica serrata nella loro inestricabile non neutralità, nel loro richiamare sempre a una scelta di campo, a uno schieramento, perché la neutralità linguistica, evidentemente, non esiste.

Lavoro difficile che il duo riminese riesce a compiere con un’enorme padronanza del mezzo espressivo la lingua parlata e detta sulla scena, tanto da impiegarla per smascherare se stessa impiegando l'(auto)ironia come strumento per sottrarsi al rischio sempre esistente dell’autocelebrazione.

Il teatro di Vannoni e Coppin è politico in un senso nuovo per la scena italiana, un modo squisitamente teatrale dato che il politico non emerge nei contenuti del discorso fatto ma nelle strutture stesse del discorso intrapreso del percorso drammaturgico che viene messo in scena a carte scoperte, senza trascurare mai il piacere di stare a teatro o di fare un teatro per il pubblico dove la vera cortesia per il pubblico è proprio quella di non fare sconti ma (rap)presentare la realtà nell’unica maniera possibile mostrandola così come appare da un punto di vista che non si pretende universale e proprio per questo più oggettivo di tante soggettività che si pretendendosi comuni si autonominano universali.

La mancanza d’impegno, l’apparenza piena di una immagine che si fa tropo ambiguo in assenza e sostituzione di un discorso che non si sa più intraprendere sono solo alcuni dei temi toccati in un testo serrato che alterna continuamente dialoghi a monologhi con una felicità inventiva, anche lessicale, che continua a sorprendere e a stimolare l’intelligenza del pubblico.

 

Quattro donne in scena (nell’organico manca Orlando Izzo come riportato nel programma, sostituito da una quartaTeatri di Vetro - 03 Iperrealismi performer) riproducono dei movimenti che sembrano narrativi ma dei quali non se ne afferra il significato.

La sequenza viene ripetuta una seconda volta senza che la comprensione arrivi. Poi vediamo le quattro performer ripetere gli stessi movimenti in un video, riprese in un cortile con casa.

Il video viene ripetuto una seconda volta, con le quattro performer in scena che vanno all’unisono sui loro stessi movimenti del video.

Un’altra reiterazione, stavolta il video mostra le quattro perfomer eseguire i movimenti che (ri)conosciamo in un bosco, di notte,

Poi l’arcano viene finalmente svelato e la sequenza dei movimenti narrativi trova il suo contesto originale dove ogni gesto trova la sua spontaneità e il significato originali:
i movimenti riproducono quelli di un gruppo di persone riprese sulla spiaggia in un video amatoriale. Un uomo cammina le braccia incrociate, un bambino gioca don la fontanella dell’acqua posta sotto la doccia, una signora indica a un’altra persona qualcosa fuori campo.
Le quattro performer eseguono i movimenti davanti il video e il pubblico dà quell’esecuzione un altro significato.

il legame tra gesto coreutico e gesto spontaneo viene così (di)mostrato, stabilito, ipostatizzato.
E’ il primo esempio di una serie di quadri ognuno diverso e con proprie peculiarità in ognuno dei quali il rapporto tra un gesto spontaneo e la sua ricostruzione coreutica viene esplorato a tutto campo.

Prima vediamo una strada cittadina alla fermata dell’autobus dove la linearità della ripresa è interrotta e ripetuta come in un disco che viene scratchato.

Poi una delle danzatrici si lascia rotolare a terra il corpo inerte come la boa che rappresenta. Ogni volta, alla fine della riproposizione dei movimenti un video restituisce l’origine dei movimenti.

Sul video un uomo anziano e tetraplegico prende aria sul balcone della propria abitazione, assistito da un altro uomo e una donna. In scena tre performer riproducono i loro movimenti e la datità bloccata e immobile dell’uomo sulla sedia a rotelle. Come a voler restituirne i moti interni dell’animo ecco che la performer che ne riproduce l’immobilità lascia trasparire la vitalità compressa e invisibile dell’uomo iniziando a muoversi nello spazio scenico come un uccello che spicca il volo.

In un altro quadro ci viene proposta una diversa reiterazione quando tutte e quattro le danzatrici ripetono i movimenti della stesa donna che parla al cellulare ripresa nel video in una piazzale con la neve e i pullman.

Poi da tutti questi movimenti che abbiamo imparato a conoscere nasce un vero quadro di danza dove i vari movimenti del corpo compongono una nuova partitura coreografica in autonomia dove il senso di un gesto per quanto astratto è pregno di tutto il vissuto umano dal quale è stato ispirato e al quale si rifà sempre, a ogni spettacolo di danza, però questa volta il percorso ci è stato mostrato chiaramente.

Magico, emozionante, impeccabile e intelligente tutto questo è Iperrealismi.

Helen Cerina, un nome da tenere a mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(19 settembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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