Roma, “Hatealy” al Teatro Tordinona, uno spettacolo nato morto

Altra Cultura

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Hately 00di E. T.  twitter@iiiiiTiiiii

Il tormentone è “COSA TI ASPETTI CHE SUCCEDA ADESSO?”: Mi aspetterei di vedere uno spettacolo teatrale come mi è stato promesso e per il quale mi è stato fornito, in qualità di inviato di questa adorabile testata, un accredito. Disgraziatamente non va così.

La direzione di Gaiaitalia.com, ha sempre considerato che sia preferibile non parlare di uno spettacolo teatrale piuttosto di parlarne male, ma ci sono momenti in cui è necessario infrangere le regole: a) perché ti danno un accredito per vedere lo spettacolo e per parlarne e b) perché di questo teatro che cerca l’applauso e non la qualità non se ne può più.

Hatealy in inglese non significa nulla, non significa “odiosamente” come la mia colta [sic] vicina faceva presente alla sua amica: “odiosamente” si tradurrebbe con “hatefully, odiously”; “Hatealy” è solo il neologismo scelto dagli autori per il loro testo (una unione di Hate + Italy, quasi a dire “odio l’Italia”, diciamo), un testo spesso incongruente, poche volte simpatico, troppo spesso odioso (dalla radice “hate”, giustamente) e vuoto, soprattutto quando sceglie di mettere in scena l’ennesima checca sfranta, ridicola e patetica espressione di un’omosessualità ormai presente solo nella penna di certi autori che non sanno come tirare avanti certi spettacoli, intepretata con cattivissimo gusto da Massimo Zordan che strappa facili risate al pubblico. Ché con gli stereotipi non si sbaglia mai.

La storia [sic]: Hatealy è un supermercato di lusso, iperlusso, dove i personaggi [sic] incontrano esattamente ciò che loro desiderano, ed è governato con finta umanità (un po’ come succede a certo teatro) da una direttrice (Antonella Gullo) che passa inosservata come la luna piena in una sera di nebbia padana ed il cui unico dilemma sembra essere quello di dover decidere se partecipare al funerale della madre o ad un importante evento del supermercato che dirige (non vi diremo qual’è per non togliervi la sorpresa, ammesso che sorpresa ci sia). Un dilemma che non viene mai psicologicamente risolto, essendo l’attrice espressiva come una maschera neutra.

Lo spettacolo si apre con un personaggio in scena che non si capisce cosa fa, arredamento Ikea, sgabelli bianchi, un tavolinetto, quattro vetrine che gli attori sposteranno durante i bui – numerosissimi, lo spettacolo è di una lentezza esasperante – per “dare vita” (and to make us feel tropical!), mentre uno schermo rimanda immagini e scritte che dovrebbero essere parte della sceneggiatura [sic] e che invece servono solo a nascondere ciò che succede in scena (peccato che le luci che filtrano dalle quinte distruggano il giochetto, ho sempre saputo che la prima cosa che un attore fa è imparare a muoversi al buio). Poi il personaggio in scena (Edoardo Pesce), ci snocciola un monologo (su un tortellino che poi si mangia), che dovrebbe rappresentare l’introduzione allo spettacolo. Dev’esserci un’amica dell’attore in prima fila, si sganascia dal ridere solo lei, anche perché c’è poco da ridere.

Appare come una madonna la ragazza (assassina dei suoi genitori) che cerca lavoro, la regia dà per scontato l’approfondimento della psicologia dei personaggi, ma certo siamo nel regno della vacuità chiamato Hatealy e tutto fa brodo, per tornare al tortellino. La giovane di belle speranze è interpretata da Elena Cucci ed il suo eloquio è così fuori controllo che non percepisco le parole dalla terza fila, mentre è efficacissima quando sta zitta.

Il lento susseguirsi di scene appena accennate, di dialoghi al limite del surreale, di rapporti tra gli attori che non esistono, non c’è energia e non c’è passione, viene rotto dall’apparizione di Vittoria, intepretata da Irma Carolina Di Monte, bravissima, forte, emotivamente provocante, bella nella sua verità, e finalmente ci godiamo un quarto d’ora di teatro.

Tutto il resto è buio. Come il finale: a metà strada tra un funerale (quello della cultura?) ed un evento da tempo promesso e a cui tutti assistono – ha a che fare con un gigantesco tartufo – e un cambio d’abito di Elena Cucci e Antonella Gullo – ché l’azione è azione perdio! – lo spettacolo nato morto si chiude con un’immagine (reale!) dell’esterno del Teatro Tordinona.

Ci chiediamo perché, ascoltiamo gli applausi, dato che ultimamente si applaude anche ai funerali, e ita missa est.

Su tutto troneggia la voce di Hatealy (della bravissima Marina Guadagno) che scopriremo essere un computer che controlla non solo il supermercato del nulla chiamato a sua volta Hatealy, ma che può leggere anche nella mente e nel cuore di dipendenti, direttrice e clienti. Originalissima trovata, si è vista solo in almeno trecento produzioni hollywoodiane.

Ce ne andiamo rapidi e sollevati. Peccato. Se si continua a far teatro per strappare applausi e cercare il successo facile invece di fare cultura, si va poco lontano. E’ vero, come ripete il copione fino al parossismo, che siamo in Italia e c’è la crisi. Requiem Aeternam.

 

 

Hatealy
dal 17 al 22 dicembre
Teatro Tordinona
Sala Pirandello
Via degli Acquasparta 16
Roma
tlf 067004932
 

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