Week-End Letterari di Gaiaitalia.com: Bo Summer’s “Scrivere come dio”, cortese, stimatissima, amata signora

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Weekend Letterari Newdi Bo Summer’s  twitter@fabiogalli61

Bo Summer’s:

Ho tante ragioni per dispiegare,

guardando e ascoltando, il dolore,

pur sapendo che esso priva di un numero maggiore

di cose migliori.

Cortese, stimatissima, amata signora,

non me ne voglia se, impunito, entro, imprevisto, nella Sua casa. Questo mio atto mi attirerà addosso ogni disprezzo, ogni odio, ogni muta e bianca rabbia – ma come evitarLe i miei ringraziamenti?

Riterrà questo atto un vile sopruso? qualcosa doveva pur manifestarlo il mio rispetto verso di Lei, e perché non una lettera che può essere letta oppure trascurata senza arrecare eccessivo disturbo?

Emozione particolarissima, la mia: mi sono azzardato, nel mio animo, a pensarLa come amica, confidente (e, senza pericolo, questo dipendeva soltanto da me, avveniva qui, nella mia casa, in assoluto silenzio), per anni ho letto i suoi libri, [iniziando da Poveri e semplici] tardo estimatore a causa della mia giovane età, ed ora son qui a scriverLe con trepidanza, con vergogna e con ammirazione, chiedendomi se Lei avrà mai la bontà di seguirmi fino in fondo.

Tuttavia sento che non avrei più potuto rinunziarvi: lunghi brancolamenti mi hanno condotto a questo: scriverLe, inviarLe qualcosa di me, seppur di poco conto, come pegno. Dovevo, in qualche modo, ricambiare quelle pagine e pagine, sue, lette e rilette, mie compagne.

Avrei dunque bisogno, ora, di fingere un contegno, di recitare un ruolo? sarebbe inutile e poco probabile.

La sofferenza, le terribili carestie dell’animo per cui uno impara a scrivere, sono abbaglianti nel loro splendore, e lei lo sa fin troppo bene, cara signora.

Improvvisamente gli occhi si dilatano, e questo è l’unico simbolo d’una eternità: lo spavento.

Fornire sé stessi come alimento alle proprie fantasie – e questo quando ci si regge a malapena sulle proprie gambe – è dolore in mezzo a tanta solennità imperante.

La sua solitudine che io, per parte mia, chiamo un’audacia, rende una camera per l’amore (mi permetto di chiarire: la violenza di un disegno immobile, semplicemente posato sul tavolo).

Questo è il desiderio di solitudine!

Ma non voglio tener nascosti gli altri motivi; proprio a questo volgerà il mio desiderio di scrivere n solitudine? non so.

[25 novembre 1986]

ma ricordo che il giorno

successivo spedii subito

un’altra lettera con questi toni:

Preziosa signora,

le mie parole serviranno ad accompagnarmi affinché possa attraverso esse, comunque, appagare i miei amori.

Qualcosa dovrà pure salvarmi dal disprezzo dei corpi!

Il loro odio, il loro disappunto, la loro vendetta, diverranno, per me, preziosissimo orpello, fasto del dolore.

Penso che questa lettera potrebbe continuare ancora a lungo per immagini, insiemi confusi.

Vorrei dunque chiudere qui questo mio primo atto e allegare (qui le mie parole esprimono vergogna, ma solo così riesco a scrivere) un breve lavoro, ingenuo forse, che è stato per me uno sfogo [ed allegai, cosa che non più riuscirei a fare, una mia copia di Impura, che era appena stata pubbicata da Tracce edizioni di Pescara: la mia riverente irriverenza giovanile].

Vorrei scrivere come dio. Vorrei.

[26 novembre 1986]

nacque da qui un’amicizia e uno scambio

di lettere, costruttivo e decisivo

per la mia formazione,

con la più grande scrittrice italiana

di tutto il nostro Novecento.

Le buste che contenevano le sue missive,

scritte con inchiostro stilografico blu,

erano sempre siglate, come mittente, AMO.

Stimata,

“la gran parte delle storie d’amore non sono che storie di odio, di rapina e di beffa, accompagnate da canti celesti, cessati i quali tutte queste storie scoprono il loro ordito sinistro e in fondo ordinario”, questo, secondo Lei, è l’itinerario delle storie d’amore; ovvero, per me: così mi esaspero, ripetendole, variandole, riscrivendole identiche, le mie storie d’amore, forse non d’odio, ancora, ma senz’altro ordinate in un abito a lutto.

Nelle grandi circostanze il dolore è fra i più piccoli ed incomodi sentimenti.

“Scusami se disturbo il tuo sonno”, quasi a modificare ciò che arreca, in altri, il risveglio di soprassalto. Ma quell’agitazione non si rivolge più a chi viene destato, essa si riflette, crudelmente,, in chi l’ha mossa dal proprio stato latente.

Si ritorce in due evidenti occasioni:

la prima introduce nella luce della coscienza, una specie di interferenza nella memoria, senza motivi noti, presenti. Non si capisce più del dolore stesso.

La seconda rimane sul viso, negli occhi e, pur conservandone l’ansia, non ha più ragione d’essere detta.

In ogni caso il dolore rimane velato, opaco, mentre la calma di chi lo possiede è nell’averlo preso in considerazione.

Ed io, intanto, a chiedermi che cosa nasconde quel dolore. Mi dico: sarà l’apparizione che un luogo come questo foglio, potrà partorire? anch’io avrò il mio posto fra queste pagine?

Mi stupisco tutt’ora.

Da dove deriva una grande forza come quella di scrivere? non mi accingerò ora a enumerare le ragioni, infinite, che ho scoperto, fra l’altro, essere eternamente ferite, bucate a loro stesse.

Ho paura, sinceramente, in questo momento. È quella emozione che provo ogni qualvolta tento di superare una frontiera. E qui si tratta di raccontare alcune cose, mie.

Ma non voglio essere degno di pietà! ci mancherebbe altro.

Cerco di sfuggire alla svelta, passo in rivista, veloce, tutti i mezzi per uscire da questa immagine da commedia: trasformandola in assoluta necessità.

Mi perdoni se l’aggravo, ancora, con questa mia lettera, se mi permetto di riscriverle alcune cose di me.

Ho tante ragioni per dispiegare, guardando e ascoltando, il dolore, pur sapendo che esso priva di un numero maggiore di cose migliori.

19 gennaio 1987

altre lettere con AMO sono troppo private,

poco rispettose per la pazienza

dell’eventuale lettore. Le tralascio

ma non le dimentico per un futuro.

 

 

 

 

 

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