Bo Summer’s, l’argomento della persona e l’esperienza egoica

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scrittura-creativa1di Bo Summer’s twitter@fabiogalli61

Questo breve scritto incomincia e finisce con l’argomento della persona. La persona che dovrebbe essere lo scrittore.

Noi viviamo in un mondo davvero basso: per adattarsi ad esso, il fanciullo che che dovrebbe essere lo scrittore che è in noi abdica a tutta quanta la sua estasi [quasi Mallarmé].

Una persona, in questo caso scrittore, è quell’io o quel voi, quell’egli o quell’essa da cui, essa stessa oggetto, viene sperimentata.

Scrivendo tento di esprimere qualcosa a qualcuno [e allora faccio comunicazione]

Scrivendo sto ricomponendo gli elementi di qualche caleidoscopico mosaico interno [e allora faccio invenzione]

Scrivendo cerco di svelare i caratteri di nuove possibilità che emergono [e allora faccio rivelazione]

Mi sorprendo del fatto che appaia qualcosa che non esisteva prima, e che queste parole non ci fossero prima che io le scrivessi. A questo punto ci stiamo accostando all’esperienza della creazione dal nulla.

Sono in grado, oggi, gli scrittori d’essere persona?

Noi tutti siamo esseri potenzialmente scrittori fra i quali c’è il nulla, non c’è alcunché che ci unisca, nessuna cosa. Noi scriviamo. Ciò che c’è veramente fra di noi non si può esprimere con il nome di cose che ci si frappongono. Il fra è in sé un niente.

Gli scrittori non si parlano. Si citano. Autocitano. E precipitano.

Così è che tutti gli esseri umani, o solo alcuni, o nessuno siano delle scrittori.

Desidero definire lo scrittore in un modo doppio: in termini di esperienza come un centro di orientamento dell’universo prossimo [cioè a dire l’altro]; in termini di comportamento come l’origine degli atti [cioè a dire l’essere interni solo a se stessi].

Si può vedere la gente dormire, mangiare, camminare e parlare ecc. in modi abbastanza prevedibili. Per gli scrittori non dobbiamo accontentarci solo di una osservazione di questo genere. L’osservazione del comportamento va estesa per mezzo di interferenze e attriti che ne vanificano qualunque esperienza di rapporto interpersonale. Se non quando può servire ad incensare il proprio nuovo scritto.

Senza il miracolo della scrittura non sarebbe accaduto nulla. Nulla potrebbe accadere senza la pagina scritta. Ma nulla accade anche in presenza di uno scrittore.

Se togliessimo di mezzo ogni cosa, tutte le vesti, le maschere, le stampelle, le truccature, e i progetti in comune, e quei giochi che forniscono il pretesto per delle circostanze camuffate da incontri a livello umano, se potessimo incontrarci veramente, se si verificasse un simile evento, una felice coincidenza tra scrittori, cosa ci separerebbe allora? Non più uno scrittore, certo. Una persona che saprebbe relazionarsi.

Se disegno una forma su di un pezzo di carta, compio un atto che scelgo in base all’esperienza della mia situazione; cosa ho esperienza di fare, e qual è la mia interazione col Mondo fuori dalla mia esperienza di scrittura? Nulla.

Questo equivale a dire che il fondamento dello scrittore è il rapporto che c’è con se stesso; questo rapporto è l’“è”, l’essere di tutto, e l’essere di tutto è esso stesso un nulla.

Questi signori dell’esperienza vivono in mondi totalmente irrelati di loro privata composizione? Le scritture che li uniscono, sono al contempo altrettante scritture, altrettante finzioni che li separano?

Questa regione dello scrivere, la regione del nulla, del silenzio dei silenzi, è essa stessa l’origine di ogni abbandono della realtà: noi dimentichiamo che siamo là interamente ed in ogni momento. E da là non ci rapportiamo con nessuno. Se non con noi stessi o con chi a noi stessi assomiglia.

Una luce pre-esistente, un pre-suono, una pre-forma, non sono nulla se non correlate con chi sta al di fuori, eppure costituiscono l’origine di tutte le cose create da chi scrive.

Un’esperienza ancorata all’identità, alla propria identità, vincolata allo spazio tempo del proprio essere.

Tutto un silenzio che precede la formazione e viene espresso dentro e attraverso il linguaggio, e che non può essere espresso dal linguaggio; ma il linguaggio può essere usato per dire cosa esso non sa dire, tramite i suoi interstizi, le sue vacuità e deficienze, tramite la struttura di parole, sintassi, suoni, e significati. Senza, per questo, doverosamente, doversi rapportare.

Modulazioni di tono e di volume che delineano una forma precisa ma senza fornire le informazioni ché mancanti negli spazi tra le linee e davvero sarebbe grave errore scambiare le linee per la forma, o la forma con ciò che essa rappresenta [quasi Jole De Sanna].

Può uno scrittore essere veramente se stesso con un altro uomo o con una donna?

Invito a cercare il motivo di questo stato di confusione in Heidegger: “Stanno giocando un gioco / Stanno giocando a non giocare un gioco. / Se mostro loro che li vedo giocare, / infrangerò le regole e mi puniranno. / Devo giocare al loro gioco / di non vedere che vedo il gioco”.

Prima di essere in condizioni di poter porre un interrogativo ottimistico come il seguente: “In cosa consiste un rapporto di interscambio” bisogna che ci chiediamo se un rapporto tra scrittori e persone sia possibile; o, meglio, se, nella nostra situazione attuale, sono possibili delle persone [dato che potenzialmente tutti siamo labilmente scrittori]… e tuttavia nel far uso di un vocabolo, qualunque esso sia, una lettera, un suono, OM, non si può prestare un suono al silenzio, o nominare l’innominabile.

Ognuno deve rifarsi, a questo punto, alla propria esperienza personale. La mia esperienza ed il mio agire si attuano su di un piano sociale di reciproca influenza e di interazione.

Noi siamo separati e congiunti gli uni agli altri fisicamente: le persone, in quanto esseri dotati di un corpo, si rapportano reciprocamente nello spazio; e inoltre siamo divisi ed uniti dai nostri diversi punti di vista, dalla diversità di educazione, di ambiente, di organizzazione sociale, dalla adesione a gruppi, associazioni, ideologie, da interessi economico-sociali di classe, e dai diversi temperamenti.

Noi non siamo un gran che interessati alle esperienze del “colmare una lacuna” di una teoria o di una conoscenza, del chiudere una falla, del riempire uno spazio vuoto: “non si tratta di immettere qualcosa nel nulla, ma di creare qualcosa dal nulla, ex nihilo. Il nulla da cui emerge la creazione, nella sua maggiore purezza, non è uno spazio vuoto, od un vuoto lasso di tempo”.

Noi esperimentiamo gli oggetti della nostra esperienza come là fuori nel mondo; l’origine della nostra esperienza sembra situarsi al di fuori di noi stessi. Nella nostra alienazione “normale” dall’essere, una persona che sia pericolosamente consapevole del non-essere di ciò che noi scambiamo per essere (gli pseudo-bisogni, gli pseudo-valori, le pseudo-realtà di quell’endemico inganno delle opinioni sulla vita, la morte ecc.) ci fornisce, nell’epoca in cui viviamo, quegli atti creativi che noi disprezziamo e di cui abbiamo estremo bisogno.

L’origine delle immagini, delle forme, dei suoni, viene da noi sperimentata come interna e tuttavia al di là di noi stessi: i colori provengono da una fonte di pre-luce in sé oscura, i suoni dal silenzio, le forme dall’informe.

Ma se potessimo lasciar perdere tutte le esigenze e le contingenze, e rivelarci reciprocamente la nostra nuda presenza? Se gli scrittori divenissero persone ed imparassero a rapportarsi?

Una situazione che si fa comica: cresce sempre più l’interesse per la comunicazione in sé, e diminuisce l’interesse a comunicare.

La creazione è stata giudicata impossibile persino a Dio, ma noi ci occupiamo di miracoli. Dobbiamo udire, come dice Lorca, la musica delle chitarre di Braque.

Lo scrittore, insomma, non è essenzialmente impegnato nella scoperta, nella produzione, o anche nella comunicazione e nell’invenzione di ciò che trova: il suo atto è quello di permettere all’essere di emergere dal non-essere.

Lo scrittore d’oggi vive uno stato di normale alienazione dell’essere interiore a favore di una esteriorità falsa ed oscura. Almeno a me. Che scrittore non sono. Scrivente sì. E persona.

 

 

 

 

©bo summer’s 2014
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