L’Arte vista da Emilio Campanella: Philip Guston & The Poets

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di Emilio Campanella

 

 

 

Hanno giocato d’anticipo, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, presentando la loro nuova mostra di Primavera-Estate, due giorni prima del grosso del bailamme di presentazioni, inaugurazioni, aperture al pubblico collegate alla Biennale; concomitanti a quelle dei Musei Civici, e in una inondazione di mostre private e pubbliche, collaterali o meno alla Biennale. Questa, oltreché imperdibile, è anche sotto quell’egida, e si potrà visitare sino al 3 settembre. Quasi una voluta affinità si crea fra la mostra, dedicata lo scorso anno ad Aldo Manuzio, e questa, di un artista contemporaneo morto troppo presto (1913-1980), che già si sta velocemente allontanando da noi, ed il cui centenario della nascita è già trascorso.

Un forte legame, grazie all’ispirazione letteraria sulla quale l’esposizione pone l’accento, e che è stata alla base di tanto suo lavoro; ma siccome la scelta curatoriale è tematica, più che cronologica, s’inizia con l’interesse per la pittura rinascimentale italiana ed una serie di sorprendenti disegni che partono ispirativamente da Masaccio e compiono un viaggio stilistico nel mondo di Guston. Siccome era molto legato proprio al museo ospite, le Gallerie propongono due raffronti: il primo fra Madonna con Bambino Benedicente di Giovanni Bellini del 1470 e Young Mother del 1944, il secondo, fra una maternità di Cosmè Tura e Mother and Child del 1930, tela non lontanissima dagli studi picassiani intorno alla pittura rinascimentale italiana, appunto, come alla stessa pittura italica degli stessi anni che ricercava, scandagliava, scavava nel proprio passato.

 

Di origine ebrea russa emigrata, Guston nacque a Montreal da cui si spostò in California, con la famiglia, nel 1919, compì studi irregolari a Los Angeles (Otis Art Institute) per poi trasferirsi a New York facendo esperienza di murales, un’estetica che si ritrova nell’iconicità di certi temi e nella monumentalità di alcune tele dell’ultimo periodo. C’è sempre un profondo scavo interiore, i suoi oggetti hanno sempre un’anima, e non a caso la mostra ha cinque sezioni dedicate a poeti che fortemente lo ispirarono: D.H.Lawrence, W.B.Yeats, Wallace Stevens, Eugenio Montale, T.S.Eliot. Uno straordinario “illustratore” di poeti, non calligrafico, né puntuale, né tantomeno pedestre… Al contrario aereo, aulico, evocativo.

Molto  discusso e criticato per il suo ritorno al figurativo, dopo il periodo astratto, da chi non riuscì a cogliere la continuità di uno studio che aveva compiuto una svolta; ma Guston non era assolutamente ritornato sui propri passi. Ci affascina, anche grazie ad un allestimento molto accurato e meditato, pensato nei minimi dettagli per creare effetti di sorpresa e spazi concentrativi di approfondimento e meditazione, ed è una mostra che si visita “di corsa”, presi da una febbre di emozionanti, scoperte e collegamenti, suggestioni, agnizioni ed innamoramenti, sino a trovarsi alla fine e rendersi conto che occorre ritornare indietro, riguardare, riconsiderare, rimeditare, fermarsi ed approfondire quelle figure semplici, all’apparenza, e così vicine alle grafic novels, ai cartoons.

Ce ne sono di affettuosamente disperate, disperatamente tenere, teneramente crudeli, crudelmente quasi esilaranti. Oggetti che ci parlano e che fanno importanti perorazioni di temi anche molto dolorosi. Si possono trovare parecchie vicinanze, tante parentele, molte affinità: il surrealismo, il realismo magico, l’action painting, l’espressionismo, moltissime cose, ma soprattutto si trova Philip Guston, sempre. Inconfondibilmente!

 

 

 

(9 maggio 2017)


 

 

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