Mark Tobey a Venezia fino al 10 settembre, Luce Filante. L’Arte vista da Emilio Campanella

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di Emilio Campanella

 

 

 

 

 

La Collezione Guggenheim di Venezia, ha presentato, venerdi 5 Maggio, la sua nuova, importante esposizione, aperta al pubblico fino al 10 settembre prossimo. Si tratta di una occasione imperdibile dedicata al pittore Mark Tobey, peraltro dopo vent’anni dall’ultima in Europa, e la prima in assoluto in Italia. S’intitola: Mark Tobey, luce filante e consta di 66 opere che vanno dagli anni venti agli anni settanta del Novecento. Curata dalla specialista Debra Bricker Balken, ha alle spalle dieci anni di lavoro di preparazione. La manifestazione è stata organizzata dalla Addison Gallery of American Art Phillips Academy, Andover, Massachusetts (Direttrice, Judith. F. Dolkart), dove la mostra si sposterà dopo le date veneziane.

 

Quaranta differenti istituzioni pubbliche americane sono presenti con i loro importanti prestiti, che hanno permesso la realizzazione della mostra. Artista schivo ed “avventuroso”, lasciò l’attività figurativa diciamo così, legata al commercio ed una tranquillità economica, per lanciarsi rischiosamente nella sua ricerca estetica sempre tesa ad un approfondimento ed uno scavo spirituale personale che forse ha portato ad una certa limitata considerazione, per così dire, che abbisogna ancora oggi di una rivalutazione ed una degna riproposta come di un ulteriore approfondimento critico. Da Seattle si spostò in Inghilterra, visse a Parigi e viaggiò in oriente, ad Hong-Kong, Shangai, in Giappone, dove approfondì tecniche di meditazione tipiche dello spiritualismo delle grandi scuole orientali, oltre la conoscenza a lui già nota, dell’arte di quel continente, e della grafica, in particolare. Una conoscenza che confluì poi nel suo lavoro, anticipando quello di altri ed il cosiddetto espressionismo astratto tipicamente americano, lui che era più vecchio di vent’anni, di tutto quel gruppo di artisti.

 

Spesso confuso, e considerato quasi un epigono, si tenne in disparte continuando coerentemente la sua ricerca formale, spirituale, trascendente, notata ed apprezzata, però, dai più attenti. Non a caso venne premiato dalla Biennale del 1958, lui, cittadino del mondo che non intendeva riconoscersi nell’arte americana, o perlomeno, non solo. La mostra, accuratamente allestita, al solito, presenta, come detto, un arco di tempo molto ampio, da lavori ancora parzialmente figurativi, sino alla ricerca del segno bianco, ed oltre con un cromatismo calligrafico, e l’aggettivo non è scelto a caso, e proprio in riferimento all’arte orientale molto ben conosciuta e studiata, come si è detto.




(6 maggio 2017)

 

 

 

 

 

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