Festival del Cine Español 2019: un frettoloso “Carmen y Lola” #Vistipervoi da Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano #CinemaSpagna twitter@gaiaitaliacom #Cinema

 

Dopo il successo alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2018 e i due premi Goya ricevuti in patria, ad Arantxa Echevarria, come migliore regista esordiente e a Carolina Giuste come migliore attrice non protagonista, giunge anche a Roma, dopo il premio Ottavio Mai a Torino, grazie al Festival del Cine Español Carmen Y Lola (t.l. Carmen e Lola) (Spagna, 2018). Echevarría, che firma regia e sceneggiatura, ci ha messo 6 anni a realizzare il film che racconta dell’amore tra due adolescenti gitane nel sud di Madrid. Il film è girato nel quartiere Lavapiés ed è interpretato da gente gitana del posto, protagoniste comprese, le splendide e bravissime Rosie Rodriguez e Zaira Romero, entrambe nominate con un Goya come migliori attrici esordienti.

Carmen Y Lola si muove con  sguardo rispettoso nel mondo gitano tra feste di fidanzamento, che ricordano quelle del sud d’Italia (o del mondo arabo) con formalismi cerimoniosi, vestiti dai colori sgargianti e tanta musica, messe evangeliche a metà tra spettacolo di teatro (nel rendere grazie a Cristo) e sessioni di flamenco (nelle canzoni di chiesa che fanno impallidire quelle della tradizione cattolica) e la vita e il lavoro al mercato di un gruppo etnico chiuso e ramificato in tante parentele.

A Lola piace la scuola perché ha capito che è l’istruzione lo strumento tramite il quale emanciparsi dal destino riservato alle ragazze nella cultura gitana, diventare moglie, madre e accuditrice; Carmen pensa invece che studiare non le servirà a niente tanto nel suo futuro c’è il matrimonio con il cugino di Lola col quale si sta per fidanzare ufficialmente. Se Lola è ben consapevole del proprio orientamento sessuale e cerca anche qualche contatto all’esterno della comunità gitana, in un internet Point su qualche chat lesbiana, Carmen non pensa minimamente alle donne ed è convinta del suo fidanzato.

Il film ci mostra bene come la solidarietà femminile, che permette alle due ragazze di andare a fumare una sigaretta insieme tenendosi per mano senza che quel gesto connoti alcunché, possa avere un significato diverso per le due ragazze, di come il contatto fisico che Carmen cerca con Lola nasca da una solidarietà femminile mentre per Lola significhi qualcosa di più. Echevarria dedica però troppo tempo a descrivere le dinamiche del fidanzamento di Carmen e davvero troppo poco tempo a farci capire come mai Carmen dall’amicizia di sororanza con Lola arrivi al desiderio sessuale e affettivo per lei.

Il film non si pone il problema, ha troppa fretta di arrivare all’innamoramento e ai problemi che questo innamoramento comporta in una società chiusa come quella gitana. E lo fa con l’ingenuità di chi racconta di amori tra ragazze per la prima volta ignorando i tantissimi film che, negli ultimi vent’anni almeno, hanno già raccontato, con molta più cura nei dettagli, anche psicologici dei personaggi, l’amore tra donne, anche giovanissime. Così la scena madre nella quale la famiglia di Lola la ripudia, una scena magistralmente realizzata e magnificamente interpretata, mostrandoci il dolore dei genitori di Lola distrutti dall’affronto che costituisce per loro l’omosessualità della ragazza, con la stessa oggettività con la quale ha raccontato della festa di fidanzamento, finisce per dare loro una dignità che l’omonegatività non può avere, mai. La soluzione poi che Echevarria presenta come finale positivo (le due ragazze si sottraggono allo scandalo tramite la fuga) è in realtà un finale aperto che cerca di  vestire di ottimismo un futuro incerto tutt’altro che roseo. Che ne sarà delle due ragazze, entrambe minorenni, che devono ancora finire la scuola?
Il film tace sperando che il fatto di non essere state uccise rappresenti da solo un futuro migliore.

Un futuro costruito altrove, fuori dalla comunità gitana alla quale le due ragazze improvvisamente non appartengono più.
Le battaglie contro le discriminazioni però non si combattono fuggendo ma lottando per i propri diritti rimanendo là a ribadire che si ha il diritto a stare anche quando qualcuno prende di poter dire il contrario.

E in questo consiste il vero nodo irrisolto, etico e narrativo, del film.

Perché se ci mostra quanto la cultura gitana sia patriarcale, quanto al suo interno ancora ci sia una suddivisione dei ruoli basati sul genere (come quando la madre di Carmen le ricorda che quando sarà a casa di suo marito dovrà preparare il pranzo a lui e alla famiglia di lui spontaneamente e senza aspettare che le venga chiesto), se il film individua chiaramente come la disinvolta misoginia degli uomini gitani trovi terreno di manovra anche nella  complicità culturale delle stesse donne, che abbracciano gli stessi valori, il film ne fa una questione di arcaismo gitano, come se il patriarcato e il maschilismo non siano problemi comuni anche al resto della società spagnola e del resto d’Europa magari appena camuffato con un’apparenza di modernità che però mantiene intatta la stessa struttura gerarchica (e non ci pare nemmeno che la chiesa cattolica sia più aperta sull’omosessualità di quella evangelica mostrata nel film).

Un’arcaismo giudicato come una rimanenza primitiva di una cultura arretrata senza nemmeno dare il beneficio del dubbio sui motivi di tale chiusura, di come questa chiusura, sia parte di una disperata, sbagliata ma umanissima volontà di preservare l’identità di una cultura come quella gitana ancora molto osteggiata. Rimanendo tutto dentro il mondo gitano il film non ha occasione infatti di mostrarci la discriminazione che le persone gitane subiscono da parte di quelle gage se non blandamente quando Carmen si propone per un lavoro di apprendista in un negozio di coiffeur e si sente chiedere dalla proprietaria gagia se lei è gitana.

Così anche se lo sguardo del film sul mondo gitano è davvero  spontaneo e privo di pregiudizio nasce il sospetto che il film piacqua tanto (soprattutto alla Francia)  per quel gusto esotico di stampo colonialista tramite il quale l’Europa e il suo pubblico pretende sempre di pensarsi migliore delle culture altre quando, proprio per questo giudizio di valore, migliore non è.

 

 




 

 

(5 maggio 2019)

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