Il regista torna sull’uccisione del leader laburista, avvenuta nei primi giorni di novembre di vent’anni fa. Con la sua morte s’interrompeva un faticoso processo di pace che sembrava a buon punto, andava in frantumi un sogno sintetizzato dallo slogan: Due Popoli, Due Stati. In 153 minuti, tanti, ma non troppi, Gitai affronta l’argomento da varie angolature e con differenti tecniche cinematografiche.
La ricostruzione, i filmati di repertorio, le interviste. Gitai ricrea l’atmosfera della Commissione d’Inchiesta che si è occupata dei difetti della sicurezza che hanno permesso all’attentatore di compiere il suo delitto. Molte riprese storiche di manifestazioni dei due partiti in contrasto, in un’atmosfera molto surriscaldata e violenta in quelle della destra, ovviamente. Le fortissime tensioni alla Knesset e volti e nomi che spesso ancora ricorrono nelle cronache di politica internazionale. I telegiornali, i volti di allora, ma anche una conferenza stampa della polizia, ricostruita con la consueta forza , e la dinamica degli scontri dell’esercito con i coloni nelle terre occupate… Materiale abilmente montato ed apparentemente mescolato, che invece compone un mosaico preciso e lucido, nel tentativo di comprendere i veleni che serpeggiavano, le correnti ideologiche, i fanatismi.
Quest’ultimo punto è quello su cui l’analisi del regista si fa molto precisa, per scandagliare sentimenti e rancori, quelli provocati dal pacifismo di un uomo che cercava un accordo con i Palestinesi, cosa che la destra non voleva, gli ultraortodossi non volevano, e soprattutto i coloni non volevano. A distanza di vent’anni ancora ci domandiamo: se Izack Rabin non fosse stato assassinato, veramente il processo di pace avrebbe continuato nel suo percorso?
Non lo sapremo mai, certo quell’episodio ha fortemente determinato la politica interna ed internazionale d’Israele, da allora ad oggi.
(8 settembre 2015)
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