Festa del Cinema di Roma, in sale anguste, tra pass arancioni, ci sono anche i film

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festa-del-cinema-di-roma-2016-07-london-towndi Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

 

 

 

 

Pochi film in programma, in sale anguste (come il microscopico Studio 3, superaffollato dove sono state stipate tutte le persone accreditate, gli accrediti stampa con priorità su quelli culturali  (budge arancioni? chiede il personale dell’auditorium trasformato in controllore di accrediti), se ci aggiungiamo una giornata di ottobre molto umida e fredda (ma poteva andare peggio, poteva piovere…) il giorno di apertura dell’11ª edizione della Festa (ex Festival del film) del cinema di Roma non è certo tra le più memorabili…
Almeno la nuova sigla del festival ha sostituito quell’abominio sessista di tre edizioni fa quando una donnina nuda in posa neoclassica scoccava frecce delle quali al pubblico (maschile?) non fregava niente tutto incentrato com’era a guardarle le tette…

Adesso invece inquadrature di cinema, quello vero, in b\n,  tratte da Mezzogiorno di fuoco (Usa, 1952) di Fred Zinnemann.

Due i film che abbiamo visto in questa prima giornata.

London Town (t.l. La città di Londra) (Gran Bretagna, 2015) di Derrik Borte, della manifestazione autonoma e parallela Alice nella città (la cui sigla è così sciatta da ricordare il montaggio che facevamo amatorialmente negli anni 80 con le cassette vhs, e purtroppo NON è un effetto voluto…) e Todos lo demás (t.l. Tutto il resto) (Messico\Usa, 2016) di Natalia Almada, della selezione ufficiale della Festa.

 

Tre film diversissimi che però, loro malgrado, confermano lo status quo di un cinema conformista non importa gli stili registici o gli argomenti trattati.

 

Tutti e tre i film infatti non vogliono istillare dubbi nel pubblico cui si rivolgono vogliono al contrario sedurlo con la lusinga (vedi quanto sei intelligente? È proprio come la pensi tu) per confermarne (pre) giudizi e pressapochismi.

 

Adriana Barraza in Todo lo demásTodos lo demás ci presenta  la vita della solitaria Dona Flor, impiegata âgée dell’anagrafe di Città del Messico. Seria, distaccata, triste, umiliando le persone che hanno bisogno dei servizi del comune più per eccesso di zelo burocratico che per spirito di rivalsa, Dona Flor guarda il mondo con distacco altero lo stesso col quale il film guarda lei  e la mostra al pubblico.
Dona Flor viene restituita attraverso i gesti, le abitudini in fatto di vestiario con una distanza psicologica e anche della mdp dal suo corpo che non è quella che si ha per gli esseri umani ma nemmeno quella che si ha per le cose.Alla regista Natalia Almada, documentarista pluripremiata in patria alla sua prima opera di fiction, Dona Flor interessa come elemento figurativo, sostenendo la verità del personaggio con il naturalismo dei gesti che ripropone al pubblico (sbagliando grandemente quando le fa gettare nel cassonetto il suo gatto morto, un gesto incompatibile con una donna tutta ligia alle regole come lei).

Adriana Barraza in Todo lo demásCerto ad avere la pazienza di guardarlo e ascoltarlo (la partitura sonora è altrettanto importante quanto quella visiva) questo film dice molto più di quel che non sembri (dalla violenza sule donne agli incidenti della metro, dalla crisi economica causata dalle ingerenze degli Stati uniti ai vecchi film romantici)  ma è un lavoro che va fatto con fatica e senza piacere, con lo stesso sforzo che applichiamo al mondo reale.
Non siamo così naïf da pretendere che i film ci facciano solamente sognare, ma diffidiamo dei film che si prendono troppo sul serio o che non mantengono uno spiraglio di speranza, o di ironia.

Il pubblico finito il film, oltre a tirare un sospiro di sollievo per la sua fine (il ritmo ipnotico che ripete situazioni e giornate mette alla prova la cinefilia più sfegatata) se ne torna a casa felice di non essere come Dona Flor non certo colpito dalla sua cifra umana che il film non sa risolvere.

 

festa-del-cinema-di-roma-2016-06-london-townLondon Town è una commedia buona (ma non buonista) col lieto fine non risolutivo (i poveri restano poveri ma sono almeno felici) che ha il grande pregio di una fattura eccellente (come solo nel Regno Unito sanno fare) dalle scene ai costumi (il film è ambientato negli anni 80) ai filmati d’epoca riattualizzati, con una storia non banale che vede il giovane protagonista 15enne Shay alle prese con Vivian una ragazza punk di cui si innamora che scoprirà essere la figlia di un uomo del governo Tatcher.
Il film tradisce tradisce però il sentire di oggi nel suo dipanarsi raccontando fatti di allora con una sensibilità contemporanea con situazioni che difficilmente allora sarebbero stati accolti come oggi possiamo fare noi.

Una delle sequenze più belle del film vede Shay vestito da donna (per sembrare più grande e condurre il taxi del padre, malato in ospedale) essere spogliato da Vivian prima di dormire insieme, in una scena di controseduzione  (lei toglie il vestito a lui…) con una consapevolezza dei ruoli di genere che sicuramente non poteva essere alla portata di due adolescenti di oltre 30 anni fa.

Viceversa la madre di Shay (interpretata da Natascha McElhone in un ruolo che è poco più di un cameo) la quale invece di rimanere a casa a crescere Shay e sua sorella sta a Londra a fare la cantante flirtando con chi le pare anche davanti al suo fidanzato abituale, suscita in Shay le più terribili (e maschiliste) ire di allora che, purtroppo riscuotono ancora oggi senso (altrimenti la scena non sarebbe stata scritta) e consenso, nel pubblico, quello paludato degli accrediti stampa e non).

Quando la donna si comporta come l’uomo è mignotta non per l’atteggiamento sbagliato in per sé ma solo perché non è appropriato al suo essere donna.

London Town si fa vedere molto volentieri ma lo si dimentica subito dopo essere usciti dalla sala. Irrilevante, perché privo qualunque credibilità, Jonathan Rhys Meyers, nel ruolo di Joe Strummer, front man dei Clash.

 

 

 

 

 

 

(15 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

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