Constellations (Costellazioni) di Nick Payne sin dal suo debutto nel Gennaio del 2012 al Theatre Upstairs al Royal Court Theatre di Londra ha avuto un successo di critica e di pubblico. Ora nella sua versione italiana prodotta da TSA Teatro Stabile d’Abruzzo in coproduzione con Khora.teatro conclude una fortunata tournée proprio nella città di Roma al teatro Vascello.
La commedia racconta alcuni momenti delle vite di Roland e Marion (Rolando e Marianna nella versione italiana) dal loro incontro a un barbecue a casa di amici comuni, al loro corteggiamento, alla storia d’amore che avviene, non avviene, finisce bene, finisce male.
Le varie possibilità sono presentate una di seguito all’altra all’interno della stessa situazione (incontro, approccio sessuale, dichiarazione d’amore, tradimento) dove vengono restituite con un minimo cambio lessicale o di situazione (in una versione Roland è fidanzato, in un’altra è appena uscito da una storia, in un’altra ancora è sposato).
Le variazioni sulla stessa situazione trovano presto una giustificazione teorica man mano che, dopo le prime variazioni, impariamo a conoscere i due protagonisti. Marion è infatti una cosmologa quantistica che studia i multiversi, cioè, come spiega allo scettico Rolando, che fa l’apicoltore, i possibili universi paralleli e contemporanei che nascono da ogni determinazione quantica (anche se nel testo Marion si riferisce, erroneamente, ad atomi e molecole che non sono certo particelle elementari) nelle nostre azioni, dal fatto cioè che un nostro gesto, una nostra decisione sia solo una delle infinite possibilità che sono potenzialmente esistenti non in questo universo ma in altri.
La riproposizione delle stesse situazioni che si discostano o si accostano per minime variazioni, hanno sul pubblico un effetto incrementale: (ri)vedere quell’approccio o quella (re)azione a un altro approccio ci fa capire meglio come si comportano Roland e Marion, e, dunque, come ci comportiamo tutti e tutte noi, nel margine di manovra cui certe limitazioni ci costringono.
Se vedo un ragazzo che mi piace e so che sta per sposarsi non ho la stessa possibilità di flirtare con lui se lo so single…
Sul dipanarsi di questo racconto si innesta una seconda serie di dialoghi, all’inizio criptici e allusivi, che diventano più chiari a ogni loro successivo riproporsi.
In questi dialoghi quel che conta non è tanto la variazione su tema ma l’aggiungersi ogni volta di nuove informazioni che il pubblico apprende perché quello stesso dialogo viene riproposto ogni volta da qualche istante prima. Delle eleganti prolessi (i flashforward cinematografici) che anticipano fatti che devono ancora avvenire.
Un futuro, quello così alluso nel testo, fatto di una sofferenza materiale, la malattia, nei confronti della quale Marion è libera di agire come meglio crede (compresa una decisione drastica per risolvere la sua malattia terminale).
Il testo narrativamente così composito, si basa su una caratterizzazione alquanto standardizzata dei personaggi, dove la donna è tradizionalmente più sensibile e colta, l’uomo più superficiale e stupido, oppure la donna è petulante e morbosa nella relazione amorosa e l’uomo sfuggente e scostante, una casistica che non aggiunge nulla al repertorio di personaggi maschili e femminili che “si relazionano in amore” ma che, messa sulla scena tutta insieme, restituisce un affresco dipinto usando l’intera tavolozza espressiva dei sentimenti e delle psicologie umane.
Costellazioni rappresenta una vera sfida per la regia perché il testo non dà indicazioni su come distinguere scenicamente le varianti narrative e i flashforward che graficamente nel libro, pubblicato in Gran Bretagna da Faber and Faber, sono distinti da una linea indentata o dal corsivo (per le prolessi).
Per distinguere scenicamente le varianti il regista Silvio Peroni sceglie una combinazione sonoro-luminosa.
Un click sonoro e un momentaneo cambio di intensità delle luci con conseguente cambio di posizione dei due personaggi per le situazioni variate e un cambio di colore delle luci per i flashforward.
La scena, vuota, vede una pedana rialzata sulla quale recitano i due interpreti sovrastati da una serie di luci puntiformi sospese che simboleggiano le stelle del cosmo alludendo sia ai multiversi che all’incombenza di un destino cosmico che determina la vita dei due personaggi molto più di quanto non credano loro stessi.
La recitazione di Alessandro Tiberi e Margot Sikabonyi è sostenuta da una memoria solida che permette loro di dire il testo in tutte le sue minime variazioni dei dialoghi, spesso ripetuti quasi nella loro interezza, senza sbavature o esitazioni.
La recitazione di entrambi, però, è televisiva perché cerca sempre un naturalismo psicologico nella spontaneità degli interpreti piuttosto che nel dare una intenzione al testo e ai suoi sottotesti che nella versione inglese sono ben determinati e allusi mentre nella traduzione italiana, un po’ troppo interpretante, vengono persi, la traduzione preoccupandosi più di aggiornare, inutilmente, i luoghi e i quartieri originali al contesto italiano. Wiltshire diventa Pisa e Tower Hamlets, un sobborgo di Londra con la più grande concentrazione di cittadini del Bangladesh, diventa il quartiere Prima Porta di Roma.
Il fatto che attore e attrice siano microfonati (senza che l’amplificazione venga usata in maniera espressiva) conferma la parvenza di spettacolo allestito più per il tubo catodico che per il palco. La verve recitativa di entrambi è indubbia ma la recitazione teatrale è un’altra cosa.
Costellazioni rimane uno spettacolo riuscito che sa farsi vedere senza fatica intrattenendo il pubblico senza rinunciare a farlo pensare.
Uno spettacolo da vedere, in scena al teatro Vascello di Roma fino al 6 di Aprile.
©alessandro paesano 2014 ©gaiaitalia.com 2014 diritti riservati riproduzione vietata
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