Festival del Film di Roma, “Wired Next Cinema”: Il Novecento spacciato come terzo millennio

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di Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

Nell’ambito di quel che rimane di una delle sezioni più interessanti del Festival (e che invece è stata sempre più depotenziata fino alla quasi cancellazione di quest’anno) che nacque come Extra, divenne CineMaxxi e adesso è Wired Next Cinema powered by  Mazda (una rivista e una casa automobilistica, come dire “evviva il capitalismo”) ierisera sono stai proiettati due film molto diversi tra loro accomunati dallo stesso gusto ri-manipolatorio delle immagini.

Já Visto Jamais Visto (t.l. Già visto Mai visto) (Brasile, 2013) di Andrea Tonacci, è un patchwork di materiali diversi girati dal suo autore e non nell’arco di 50 anni. Materiali preesistenti tra i quali olte alle scne d un film mai completato e qualche materiale di repertorio, campeggia una serie di filmini delle vacanze (il figlio del regista che si diverte ora a Bomarzo, ora New York, il regista che mostra a un amico una bibbia del 1884 che si sta sfaldando) che hanno sicuramente un valore per lui che li ha girati  ma che non si capisce bene quale interesse dovrebbero avere per il pubblico chiamato vedere quelle immagini sotto forma di film.

Il regista ha spiegato che il film è il risultato di una ricerca su quel materiale del quale sentiva di stare perdendo la memoria.  Immagini delle quali non aveva in mente un senso preciso che è venuto a lui durante il montaggio.
Il risultato finale non sembra avere la pravenza delle immagini riprese per caso, il montaggio proposto non suggerisce a chi guarda associazioni di idee, casualità, erranza. Il montaggio segue ancora la consuetudine narrativa del tempo lineare, che distingue un prima e un dopo tanto che il film si apre e si chiude con la  stessa scena. C’è insomma ancora l’impiego delle tecniche del montaggio invisibile (per cui la musica in presa diretta di un carrillon è sicuramente post editata visto che camuffa un salto di inquadratura).
Quel che è venuto a mancare è solamente la narrazione, secondo quel gusto postmoderno, ormai retorico perché diventato stile, che vuole che le immagini dicano qualcosa di per loro al di là della loro funzione narrativa.
Immagini che vanno contemplate e non lette criticamente.
Si continua così a tenere il pubblico fuori dalla consapevolezza degli apparati di produzione di senso del cinema presentando l’immagine come una magia pre-razionale che non va capita ma sentita (nel senso inglese di to feel).
Una visione aristocratica dell’arte camuffata dietro l’estetica popolare di you tube quella che illude l’universo mondo di essere in grado di fare cinema coi filmini delle vacanze con la differenza che non tutte le persone sono in grado di montare le immagini benecome fa Tonacci.
Poco importa però perché, alla fine, il materiale di origine di Tonacci ha la stessa dignità dei filmini di ognuno e ognuna di noi. Suo figlio vale, in quanto figlio, quanto i nostri.

Quel che porta i suoi filmini  a diventare film – mentre i nostri no – sono le sue capacità registiche nell’assemblare quei materiali grazie a un pensiero organizzativo e dunque razionale che pretende di trovare nell’indefinito dell’immagine un principio organizzativo altro che, soprattutto, non starebbe nella persona che le assembla ma nelle immagini stesse.  Proprio come i film di finction che ci si presentano come se accadessero spontaneamente davanti a noi senza rivelare che son stati organizzati da qualcuno.

Un’arte aristocratica che continua a dire “Io” fingendo umiltà nel pretendere di seguire  forme di comunicazione popolare presentando come spontaneismo un montaggio tutt’altro che spontaneo.

Dietro l’assenza di narrazione vi è dunque sempre il vetusto lirismo crociano dell’immagine per l’immagine che dovrebbe avere un oltre per il fatto stesso di avere ripreso il reale.
Si spaccia così per nuova un’idea del primo novecento sulla quale in Italia le pagine migliori le ha scritte Pirandello, che di film non ne girava ma aveva capito bene, molto meglio di certi critici che presentano i film come questo come tonitruante novità il rapporto tra l’oggetto ripreso e la proiezione della sua immagine tanto che nella cartella stampa Tonacci è presentato come un protagonista dell’antropologia visiva.
Adesso, se Tonacci è un protagonista dell’antropologia visiva, Maya Deren cos’è?

 

 

 

 

 

 

 

(20 ottobre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©alessandro paesano 2014
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