Simon Boccanegra, Emilio Campanella c’era (c’è sempre)

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Simon Boccanegradi Emilio Campanella

Quando Giuseppe Verdi cominciò a lavorare a SIMON BOCCANEGRA aveva in mente da tempo di affrontare il personaggio shakespeariano, dunque, forse, nel dramma di Antonio Garcia Gutiérrez (quello stesso del Trovatore) cui liberamente si ispirò, trovò temi simili come il dolore della paternità e la solitudine del potere. Debuttò al Gran Teatro La Fenice di Venezia nel 1857 con scarso successo e solo parzialmente riscattato tempo dopo alla Scala, ma non entrò mai veramente in repertorio. Nel 1880 venne ripreso per vari motivi, e rielaborato  il lavoro di Piave, da Verdi stesso insieme a Boito, con il quale iniziò la fruttuosa collaborazione che conosciamo. L’opera venne ampiamente rimaneggiata, ma rimase e rimane sempre sbilanciata drammaturgicamente, e forse anche più, grazie ed a causa della grande scena finale del primo atto, esercizio stilistico teatral-musicale di altissimo livello, che, però provoca un forte squilibrio con i due atti successivi.

Comunque quando andò in scena nel 1881 ebbe ben altro riscontro. Verdi che pur amava questo lavoro, lo definiva un po’ un figlio zoppo. Personalmente amo molto, forse proprio per questi suoi “difetti”, ma anche per le qualità musicali, i caratteri scolpiti, ma non primitivi dei molti personaggi. Mancava da Venezia dal 2001, quando al Palafenice vennero allestite le due versioni per la regia di Elio De Capitani. Queste note fanno riferimento alla prova generale del 20 Novembre. Il nuovo allestimento porta la firma di Andrea De Rosa che cura anche le scene, i bei costumi d’epoca di grande gusto e sobrietà sono di Alessandro Lai, mentre straordinario light designer, ancora una volta, Pasquale Mari, autore anche delle suggestive proiezioni, di cui parlerò più avanti. L’orchestra era diretta con grande intensità drammatica, precisione, respiro e preziosità timbriche da Myung-Whun Chung.

Il prologo, cupo, notturno vede la nera facciata del palazzo dei Fieschi, sullo sfondo della quale si svolgono gli incontri frettolosi di questi genovesi sempre litigiosi, intenzionati ad eleggere Doge Simone, per poter avere un rappresentante del potere che possa fare i loro interessi essendo un corsaro, e di estrazione non nobile. Già dei nodi si presentano e dei caratteri cominciano a delinearsi: uno scontro fra Boccanegra( Simone Piazzola) e Jacopo Fiesco (Giacomo Prestia) affrontato con decisione e resa drammatica, e la presenza di Paolo Albiani (Julian Kim). Già ci sono conflitti, una bambina scomparsa, una figlia ed amante morta improvvisamente, e la trama diventa già molto complicata, perché qui quasi tutti si sdoppiano, si nascondono, cambiano nome… Ci sono congiure continue, tradimenti, agnizioni, un bel repertorio  di colpi di scena sostenuti da una musica di grande intensa resa drammatica che attenua ogni incongruenza, come sosteneva Brahms che stiimava molto questo lavoro. La regia risolve bene un momento di grande difficoltà: Simone entra nel buio, silenzioso palazzo per scoprire la sua amata Maria su un catafalco e noi scorgiamo la sua figura come una santa in una teca devozionale (S.Caterina da Genova nel suo Santuario?). Pazzo di dolore lo vediamo uscire con il corpo fra le braccia che poserà a terra come in una pietà rovesciata, mentre intanto lo si festeggia per l’avvenuta elezione; evidentemente è solo un suo delirio allucinatorio di cui gli altri non si avvedono, e la regia sottolinea senza sbavature questo fatto, grazie alle luci che investono solo i due protagonisti dell’amore tragico, mentre tutti gli altri sono su un piano luministico differente.

Il primo atto trova Amelia Grimaldi (Maria Agresta) ed il suo incontro con Gabriele Adorno (Maurizio Meli), mentre Paolo Aliani li spia; successivamente giunge il Doge che in un intenso emozionato, trepido incontro-agnizione, teso allo spasimo dalla musica, dalla regia, dal direttore, dagli interpreti, porta al riconoscimento di padre e figlia: Amelia Grimaldi (adottata dalla nobile famiglia) è in realtà Maria Boccanegra, quindi nipote di Jacopo Fiesco. Qui la silohuette in controluce di un palazzo lascia vedere un’alba sul mare e si riconosce il Monte di Portofino (le scene sono state girate in estate sulla passeggiata di Nervi), e corrispondono alle ore di svolgimento nelle scene della vicenda.

Il secondo quadro, quello citato come nuovo in confronto alla prima versione si svolge nel Palazzo Ducale genovese e ci sono contrasti politici, una sommossa, una congiura svelata, una donna rapita( l’unica della storia, Amelia/Maria) liberatasi ed “un rio che si svela”. La sommossa si scioglie per l’autorevole e coraggioso atteggiamento di Simone, ma anche per la presenza di questa donna che d’ora in poi sarà l’ago della bilancia di ogni successivo nodo drammatico, amata da tutti, ed in fondo, da tutti stimata, risultando un ottimo espediente drammatico per dividere uomini violenti pronti a scannarsi. Nel secondo atto altri nodi drammatici e la grande aria di Paolo, un po’ una prova generale di Jago, abbastanza ben risolta da Kim ed i contrasti di umore di Adorno che passa da assassino intenzionale ad incredulo spettatore della inaspettata realtà che la “sua” Amelia sia figlia di Boccanegra, e che ancora una volta sopraggiunge a tempo per salvarlo dal pugnale di Gabriele… In tutto questo notevolissimi arie, duetti e concertati, mentre poco prima, intanto, Simone ha bevuto il veleno preparatogli da Aliani. Nell’ultimo atto tutti i nodi, e sono veramente tanti, vengono al pettine: il vilain dela storia ci rimetterà la testa, i due amanti si sposano, Simone si consuma lentamente mentre il palazzo stilizzato ha verande che si aprono sul mare al tramonto (on un effetto un po’ Punta Perotti, non so quanto voluto…); quel mare cifra della regia e tema dominante, anche musicalmente, di tutta l’opera, un mare anche precedentemente intravisto come di scorcio da carrugi in salita…

Prima di perdere le forze Boccanegra avrà il tempo di incontrare il nemico di una vita: Jacopo Fiesco, e nel lungo duetto fra due uomini, entrambi ormai anziani, potrà dirgli come abbia ritrovato la bambina perduta che non sapeva più che fine avesse fatto venticinque anni prima, ed essere, finalmente perdonato.

La resa musicale è stata intensissima da parte di orchestra ed interpreti.

Il sole è ormai tramontato, arrivano i novelli sposi , Simone allo stremo indica ad Amelia/Maria, Jacopo Fiesco come padre di sua madre; grandi abbracci mentre Simone scivola a terra per non rialzarsi più. Viene proclamato Gabriele Adorno come nuovo Doge: IL DOGE E’ MORTO, VIVA IL DOGE! Dal coro si avanza la figura di Maria che avevamo visto portare in braccio, esanime da Simone nel prologo, ed ora sarà lei a sostenerlo come in una pietà speculare alla prima, e tutte le altre figure sono come di un COMPIANTO. Grandi applausi al coro, ai comprimari. Al direttore, tantissimi; a Julian Kim nonostante qualche incertezza, pienamente in parte; a Giacomo Prestia, Fiesco di notevole statura; a Francesco Meli, Adorno decisamente credibile e sfaccettato; Maria Agresta, Amelia/Maria, figura femminile che ne assomma molte nel medesimo personaggio: giovane donna che sa quello che vuole, con una tragica storia alle spalle, donna forte che subisce un rapimento e se la cava, figlia del Doge, innamorata del suo tentato sicario, insomma molto materiale umano  che la cantante affronta con attenta coscienza dell’importanza del personaggio nell’economia dell’opera.

Simone Piazzola, è un Simon Boccanegra umanissimo, strappato al mare che ama tanto, attento ai sentimenti degli altri, nonostante tutto: un Doge autorevole, di statura drammatica perfettamente credibile e dolente nelle tragedie che vive.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(21 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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