Roma Fringe Festival 2015 #Visti per voi da Ilaria Giambini

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Roma Fringe Fest 2015 - 04 Drug Queendi Ilaria Giambini

A volte le cose non vanno come dovrebbero, quindi ci troviamo a raccontarvi di spettacoli visti al Roma Fringe Festival pù di una settimana fa, ce ne scusiamo con gli organizzatori e con voi lettori, ma a volte la puntualità non dipende né dal cronista né dal giornale, ma da fatti incontrollabili.

Abbiamo visto Buonanotte, tesoro! che vuole mostrarci, come fosse un quadro o una fotografia, la fine dell’amore, ma lo fa forse in modo un po’ troppo banale e privo di scossoni emotivi, che anche all’interno di una commedia, creano comunque quel coinvolgimento da parte del pubblico utile a far sì che nessuno si perda. La trama è abbastanza semplice e lineare: tre coppie in crisi: liti, incomprensioni, dispetti, il tutto sotto lo sguardo attento di un giudice che dall’alto del suo trespolo sta lì a cercare di mettere pace. L’idea particolare inserita all’interno della messinscena è stata quella di lasciare tutto il romanticismo che oramai le tre coppie non vivono più alla voce piena di un tenore, Adriano Gentili, ma se da un lato questa scelta può risultare apprezzabile per la sua particolarità, dall’altro, inserita in questo modo in mezzo ai dialoghi, crea discontinuità nella narrazione, non aggiungendovi tra l’altro nulla di concreto ai fini della storia. Gli attori in scena: Michele Clemenza, Valeria De Angelis, Susanna Gentili (anche autrice), Alessandra Maccotta, Alessio Rizzitiello, Sara Trainelli e Danilo Zuliani (anche regista), sono tutti molto capaci ma visivamente castrati da personaggi che stentano a prendere forma e connotazioni ben delineate, un peccato perché l’idea in sé poteva regalare sicuramente al pubblico uno spettacolo brillante/grottesco piacevole e interessante. Gli ingredienti c’erano tutti, ma come quando si prepara un dolce, se non si mescolano bene le dosi all’inizio, il risultato finale, nonostante tutti gli sforzi ne risentirà.

Bellissimo il testo di Come d’Autunno, scritto da Lello Gurrado per la ricorrenza del centenario dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale; si basa su un dialogo immaginario tra una donna e suo figlio, che in realtà è morto, attraverso il quale emergono racconti e ricordi che ci mostrano la guerra in tutta la sua vera natura crudele e priva di umanità. Al di là del testo ben scritto ci sono gli interpreti: Elena Scalet, Gianluca Follo, Francesco Modugno, Alberto Zambelli, capaci di trasportare lo spettatore dentro la storia al punto di fargli sentire esattamente quelle sensazioni di paura, claustrofobia e follia vissute durante la guerra di trincea. Un’opera toccante e dolorosa, capace non solo di emozionare ma anche di essere estremamente credibile, anche nel rievocare personaggi realmente esistiti come ad esempio Enrico Toti.  Un’opera che se fosse durata di più avrei continuato a guardare ed ascoltare, senza nessun problema, e ci tengo a dirlo perché sempre più spesso mi capita di andare a teatro e non riuscire a mantenere l’attenzione fino alla fine, spesso a causa di narrazioni confuse e interpretazioni esitanti. Ed è quindi giusto riconoscere l’onore al merito quando si ha il piacere di incontrare autore, registi e interpreti convincenti, coinvolgenti, intensi ed emozionanti. Uno spettacolo sicuramente da rivedere anche al di fuori del Fringe.

Roma Fringe Festival 2015Poi abbiamo visto per voi (curioso che almeno tre differenti testate usino il nostro #Vistipervoi per parlare del Fringe, non trovate? Almeno si sono risparmiati l’hashtag), il bello spettacolo chiamato Scompaio: senza dubbio uno dei migliori spettacoli visti negli ultimi tempi. Una regia quella di Alfredo Agostini precisa, attenta e puntuale. Delle interpretazioni quelle di Francesca Romana Miceli Picardi (anche autrice) e Manola Rotunno, intense e vere, ricche di sfaccettature e colore, cariche di note intense e commoventi. La narrazione semplice nella complessità degli intrecci delle due storie aiuta lo spettatore ad entrare completamente nel mood giusto per seguire la storia. Le due donne sono quanto di più distante ci si potrebbe aspettare a prima vista, una barbona, che passa inosservata mentre osserva, con i suoi occhi e il volto carichi di ricordi e l’altra, una ricca signora di alta estrazione lei al contrario della prima se la incontri non puoi non notarla, ma è lei a non notare te, a scegliere di non ricordare. Due mondi all’opposto che non hanno apparentemente alcun punto d’incontro ma che sanno incrociare le loro strade sulla scena regalando a chi le osserva la magia di uno spettacolo vero, intenso e intelligente. Uno spettacolo di quelli che quando esci e te ne vai a casa ti lascia addosso il suo retrogusto, sui cui riflettere, un po’ perché ben scritto, un po’ perché diretto con precisione millimetrica e un po’ perché interpretato con verità e generosità.

Poi è il momento di Drug Queen, scritto da Emmanuele Rossi viene “catalogato” come spettacolo sociale di ricerca  e ci propone, attraverso la metafora della Regina Droga, il rapporto sofferto e complesso vissuto con la stessa da due artisti che hanno segnato e fanno parte dell’immaginario collettivo: Marilyn Monroe e Andy Warhol. La nostra Regina mostra a ciascuno come fare per raggiungere i propri obiettivi e i propri sogni in modo semplice, mercificando se stessi o la propria arte, cercando di convincere l’umanità intera, attraverso di loro, che in fondo si tratta solo e sempre di un do ut des nella vita e che approfondire, cercare, pensare non serve a nulla. L’interpretazione di Vania Castelfranchi (anche regista) e Valentina Greco rende molto chiara al pubblico l’idea di questa continua altalena di stati d’animo e sensazioni che porta con sé l’utilizzo di alcuni tipi di sostanze. Ed è così che si sviluppa questa lotta che i due artisti vivono, lottando tra l’essere se stessi o l’essere ciò che la gente si aspetta che siano, simboli più che persone, per raggiungere e conservare il tanto anelato successo, che diventa anch’esso droga da cui la disintossicazione sembra impossibile. L’intento è probabilmente quello di denunciare una società più attuale che mai, una società basata sull’apparenza più che sull’essenza, una società in cui si soppesano le persone che ci troviamo davanti solo per il loro apparire, ma non ci si ferma mai a domandarsi cosa ci potrebbe essere oltre. La metafora risulta efficace e interessante, forse non di facile fruizione per qualsiasi tipo di pubblico, ma sicuramente interessante nel suo genere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(9 giugno 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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