A Napoli “Daniel Buren, Axer/Désaxer – lavoro in situ”, fino al 29 febbraio. Mila Mercadante c’è stata

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Daniel Buren 00di Mila Mercadante  twitter@Mila56102367

 

 

 

Ha 78 anni e da almeno 45 mantiene un rapporto stretto, appassionato e generoso con la città di Napoli. Insignito di premi prestigiosi e riconoscimenti, ha esposto le sue opere in tutto il mondo ma ha dichiarato che la città che preferisce e che ama di più è Napoli. E’ il francese Daniel Buren, uno dei più grandi artisti sulla scena internazionale, il più influente esponente della corrente Institutional Critique nata a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. A Napoli arrivò per la prima volta nel ’72 per merito del gallerista Lucio Amelio, al cui lavoro irripetibile e intelligente la città deve ancora oggi moltissimo. Buren, insieme a Kounellis e ad altri nomi di spicco dell’arte contemporanea, avrebbe voluto fare del quartiere Bagnoli e dell’area ex Italsider un territorio dell’arte e della cultura che ospitasse un museo marittimo, e che fosse abitato soprattutto da artisti e creativi. Il suo sogno – ça va sans dire – è stato stroncato sul nascere.

Al museo Madre di Napoli si può visitare una bella e festosa mostra di Buren – Axer/Désaxer – lavoro in situ – divisa in due diversi progetti. Il primo è una grande installazione architettonica che trasforma lo spazio dell’ingresso del Madre e che sarà visibile fino al 29 febbraio, salvo contrordini: in realtà l’artista vorrebbe regalare la sua installazione al museo e alla città, quindi è probabile che l’installazione #1 Come un gioco da bambini, resterà lì molto più a lungo del previsto. L’ingresso sembra voler creare una connessione tra l’interno e l’esterno, stabilendo l’unità tra il palazzo e l’umore della città, ma il visitatore può provare anche la sensazione che si tratti del contrario, pensando che l’artista abbia voluto inconsapevolmente “inspessire” le mura del Madre perché diventasse un luogo magico chiuso a tutte le tempeste del mondo. Il secondo progetto architettonico – lavoro in situ #2 – coinvolge altri spazi del museo modificando le prospettive stesse del museo rispetto alla strada su cui si affaccia e sarà visibile fino al luglio 2016. Chi visita la mostra entra praticamente dentro l’opera, la vive, si muove all’interno di essa e viene rapito dai giochi ipnotici dei segni, delle figure geometriche, delle righe che caratterizzano da sempre i lavori di Buren. Camminare in questi spazi visionari significa lasciarsi coinvolgere e stupire dalle rifrazioni e dalla luminosità degli specchi, dalla vivacità spumosa dei colori. Si tratta di un’esperienza della percezione legata alla scoperta, che regala sensazioni di gioia infantile e di benessere: le opere architettoniche di Buren fanno bene allo spirito, mettono allegria, non intimidiscono e anzi rispecchiano quello che è il pensiero dell’artista: l’arte è semplicità e immediatezza. Malgrado la loro complessità, i lavori fantastici di Buren sono soprattutto un omaggio all’immaginazione e al gioco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(5 gennaio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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