“Le Parfum vert” o del cinema civile. Rendez-vous 2023

Altra Cultura

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di Alessandro Paesano

Le parfum Vert (t.l. “Il profumo verde” ma la distribuzione italiana ha pensato bene di aggiungere la parola mistero nel titolo) è un film sorprendente da ogni punto di vista.

Lo è nella filmografia del suo autore e regista, Nicolas Pariser che ci ha abituato a film Alice e Il Sindaco (2019), Le grand jeu (2015) e La République (2010) di impianto completamente diverso; lo è nel suo respiro produttivo (girato tra Parigi Bruxelles e Budapest) e nella direzione del suo cast, a cominciare dalla coppia Sandrine Kiberlain-Vincent Lacoste, improbabile sulla carta e che, invece, sul grande schermo fa scintille.

Il meccanismo narrativo del film è semplice e intelligente: un attore muore in scena, durante la rappresentazione di una pièce di Checov. Prima di morire confida a Martin, un collega che cerca inutilmente di  soccorrerlo, di essere stato avvelenato e poi dice le parole parfum vert. Prima ancora di essere sentito dalla polizia Martin viene rapito da un gruppo di uomini misteriosi che lo conducono in una villa chiedendogli che cosa gli ha detto l’uomo prima di morire.

Da questo inizio il film sviluppa una trama piena di colpi di scena nello svolgersi della quale Pariser affronta i temi cui ci ha abituato: il rapporto tra uomini e donne  (e nel vedere Vincent Lacoste, 29enne, amoreggiare con Sandrine Kiberlain 55enne, anche se proprio non sembra, non credevamo ai nostri occhi), rapporti familiari (il divorzio di Martin, la madre con le manie di controllo di Claire, il personaggio interpretato da Kiberlain), la società (la manipolazione dei social a fini politici) i rapporti tra nazioni (l’insorgere di nuovi nazionalismi). La novità di Parfum Vert è il tono da commedia, mai superficiale, col quale Pariser affronta questi temi.

Come ci ha spiegato il regista, presente in sala dopo la proiezione romana alla prima vera e propria giornata di programmazione della tredicesima edizione di Rendez-vous, , il primo nucleo intorno  al quale aveva sviluppato la sceneggiatura vedeva Londra negli anni 30 subito prima del secondo conflitto mondiale. Esigenze di copione (e di budget) lo hanno convinto ad ambientare il film nella nostra contemporaneità anche se la sensibilità e il gusto della narrazione hanno mantenuto la stessa ispirazione: i film di Hitchcock e i fumetti di Hergé (quel Tin Tin poco conosciuto in Italia anche se ha avuto una certa  eco ai tempi del programma tv Gulp fumetti in tv).

Il cinema, ha continuato Pariser, è affine più ai fumetti che alla pittura (troppo maestosa per potergli essere davvero utile) mentre il fumetto riesce a raccontare con levità in una maniera in qualche modo affine al cinema.

A guardare Le parfum vert Pariser sembra avere proprio ragione.

Tra viaggi in treno, rincorse in sedi internazionali sparse in mezza Europa il film è mosso più che da un impianto citazionale da una solida memoria storica fatta di tante cose, dal cinema al teatro, dai fumetti ai grandi personaggi interpretati dalle dive del passato.

Un racconto cinematografico che non è mosso dal gusto per la citazione ma che, nel raccontare alcuni mali contemporanei, lo fa con un portato narrativo, una prospettiva che trova le sue radici nel passato dal quale certo cinema è cresciuto.

Certo solamente un regista e sceneggiatore francese ha la cultura per poter scegliere di far allestire nella scena clou del film una pièce di Corneille (L’illusione comica) non la classica tragedia ma una summa dei generi teatrali dalla commedia farsesca al teatro nel teatro in un continuo rimando tra generi  e forme di spettacolo diverse e affini.

D’altronde se nei film francesi si parla sempre di qualche libro non sarà certo per caso, no?

Pariser propone un cinema civile che dimostra che per intrattenere non bisogna spegnere il cervello del pubblico ma anzi accenderlo, infondendolo anche della speranza che qualcosa di buono ci possa essere anche in tempi duri come questi, per l’Europa e per noi.

 

 

(31 marzo 2023)

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