Umberto Bindi e quel brutto pasticciaccio dell’anello sgargiante al Festival di San Remo

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di Giuseppe Enzo Sciarra

Introduzione. Umberto Bindi è un nome che a molti non dice granché, io lo ricordo per un’infelice partecipazione con i New Trolls a San Remo del 1996 con la canzone “Letti”, scritta da Renato Zero che stava cercando di aiutare il suo amico a rilanciare una carriera in impasse da decenni. Il pezzo si classificò ultimo in classifica e non ebbe alcun riscontro né nelle hit parade né nelle radio all’epoca. La mia curiosità nei confronti di questo cantautore del passato avvenne a causa di alcuni media, cominciai a leggere notizie fugaci scritte come se si stesse parlando di un omicida o di un caso umano e della sua omosessualità come la causa a quanto pare del declino della sua carriera – ricordiamo che l’inquisizione è nata in Italia.

L’anno della partecipazione di Bindi a San Remo (parentesi), Federico Salvatore, (recentemente scomparso), partecipò alla kermesse più famosa di Italia con la struggente, “Sulla Porta”, un brano che rappresentava per il cantautore napoletano una netta inversione musicale rispetto al passato: dalla goliardia del disco Azz Salvatore era passato a un testo decisamente più impegnato che parlava di un figlio omosessuale che dice addio alla madre che non l’accetta con una lettera straziante, suscitando scandalo e subendo la censura Rai – censura che il cantante trasgredì durante la terza serata pronunciando la parola “omosessuale” durante la sua esibizione, nonostante i divieti che gli erano stati imposti dall’inquisizione su quella “parola innominabile”, e ciò gli costerà caro, il pezzo dal terzo posto della prima sera scivolerà inspiegabilmente al nono. Magia? In un clima del genere, omofobo e tutt’altro che gay-friendly come quelli degli ultimi San Remo, Umberto Bindi tentava un rilancio che gli era rifiutato da un sistema medievale che non lo voleva.

Intendiamoci di artisti gay o lgbtqi come si direbbe adesso (e si deve dire! Pena la scomunica dell’inquisizione omosessuale stavolta!), ce ne sono sempre stati tanti nel mondo dello spettacolo ma un po’ come per Pier Paolo Pasolini all’epoca – i dichiarati, quei poveri disgraziati – che era attaccato per il suo orientamento sessuale mentre Luchino Visconti o Franco Zeffirelli non essendo mediaticamente dichiarati non subivano tale ostracismo, Bindi aveva la colpa di essersi esposto troppo non avendo mai nascosto la sua omosessualità. L’essere gay e l’essere famosi per decenni non sono andati mai a braccetto serenamente, c’è dietro un mix denigrante e degradante di compromessi, soldi e potere che voi umani… Ma questa è un’altra storia.

Il successo arriva verso la fine degli anni ’50 grazie alla collaborazione con il paroliere Giorgio Calabrese. Bindi fa parte della celebre scuola di Genova, (Gino Paoli, Fabrizio de Andrè, Bruno Lauzi, Luigi Tenco). La bellissima “Arrivederci” si classifica terza a Canzonissima. Da qui in poi il percorso dell’artista per un certo periodo è in salita: “Il nostro concerto” resta ben 10 settimane al primo posto in classifica, concependo quello che è ritenuto da molti colleghi e critici musicali uno dei più bei pezzi della storia italiana – 70 secondi di introduzione strumentale e musica classica sopraffina, tra pianoforti e archi. Altri successi della sua carriera indimenticati sono, “Il mio mondo” scritta con Gino Paoli cantata in tutto il mondo e “La musica è finita” scritta con Franco Califano per Ornella Vanoni. Ecco il periodo del successo di Bindi in poche righe.

Poi arriva quel brutto pasticciaccio dell’anello sgargiante al Festival di San Remo. Nel 1961 a un Festival San Remo la stampa si soffermò su un bellissimo e sgargiante anello che Umberto Bindi indossava sul palcoscenico – a dimostrazione che la musica a San Remo conta quanto contavano le donne nel mondo del calcio, (diciamolo pure, in tempi di inclusività vere e di facciata!) prima che le donne giocassero a calcio. L’anello dell’infamia, della vergogna, della virilità debole, divenne la causa dei guai del povero Bindi. Era vergognosamente e smaccatamente f****o e quell’anello maledetto ne era la prova! La punizione dell’inquisizione italiana per aver osato tanto fu un linciaggio mediatico seguito a sempre meno offerte lavorative.

Umberto Bindi è solo uno dei tanti martiri della canzone italica e di un paese bigotto, corrotto e anche un po’ cialtrone e parecchio parecchio r*cchi*ne, (basta non dirlo). Bindi fu relegato a un ruolo marginale della canzone italiana; proprio lui che era un genio. Ma non è stato l’unico. La triste storia di Mia Martini è sulla bocca di tutti. Le ignobili accuse di portare sfortuna le hanno fatto ciò che le hanno fatto fino alla tristissima morte quando, miracolosamente, era tornata al successo con brani indimenticabili. Brutta sorte è toccata anche a Piero Ciampi, cantautore con problemi di alcolismo poco avvezzo ai successi da classifica che non piaceva al sistema e a cui il sistema non ha mai reso la vita facile. Potremmo inserire nella lista dei martiri anche il coraggioso Ivan Cattaneo (altro che Fedez e Rosa Chemical) che in tempi i cui essere gay significava avere la lebbra cantava canzoni come Polisex o Piangi con me (e realizzava un album straordinario come “Primo, secondo e frutta Ivan compreso”).

Conclusioni.Umberto Bindi morì povero e solo nel 2002. Il mio interesse nei suoi confronti è ritornato dopo la puntata che Morgan ha dedicato nel suo show, Stramorgan al  cantautore genovese, presentando a un pubblico di giovani che probabilmente non l’avevano mai ascoltato alcuni suoi classici e sottolineando (indignato) il motivo per cui la sua carriera era stata interrotta. In un periodo storico in cui si combattono battaglie pertinenti a ciò che ci viene suggerito dai media – nel bene e nel male – ci vuolee il coraggio di lottare anche contro quelle battaglie che vengono ritenute impopolari e poco glamour. I nuovi Umberto Bindi non devono essere necessariamente gay. Possono essere anche altre categorie di persone, rom ad esempio, oppure migranti. Avere il coraggio di difendere i più fragili e di non essere complici di un sistema crudele che fa leva su ignoranza e pregiudizi rende vivi contro un sistema che è tutt’altro che è morto. In Italia come altrove.

 

(1 maggio 2023)

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