Lo stupefacente incontro con Glenda Jackson da studente di cinema

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di Giuseppe Enzo Sciarra

Glenda Jackson si è spenta qualche giorno fa a Blackheath, un quartiere nel sud di Londra, dopo una breve malattia alla veneranda età di 87 anni. La sua morte mi ha fatto ripensare a quando l’ho vista per la prima volta sul (non grande) schermo del mio pc grazie a un bellissimo esame universitario sulla settima arte che ho dato qualche anno fa, quando ero ancora un pischello. Dovevo vedere dei film di un regista che poi sarebbe diventato uno dei miei cineasti preferiti, Ken Russel – l’autore di quel capolavoro censuratissimo che si chiama “I diavoli” e che fece gridare allo scandalo perfino la santa sede durante la mostra del cinema di Venezia del 1971.

Il mio docente di cinema di allora inserì tra le visioni dei film obbligatorie di Russell per dare l’esame, “Donne in amore” e “L’altra faccia dell’amore”, entrambi con Glenda Jackson. In “Donne in amore” dove tra gli interpreti figurano Oliver Reed e Alan Bates, la Jackson interpreta il personaggio di una scultrice che potremmo definire antesignana delle femministe, forte e indipendente che intreccia una relazione con un ricco industriale. Il film è ambientato nell’Inghilterra del 1920 ed è uscito nelle sale nel 1969, a un anno dalle contestazioni del 1968 che avrebbero dato il via a una serie di rivoluzioni in parte ahimè perse e in parte tutt’oggi sul tavolo da gioco dei diritti civili. Oltre a rimanere colpito dalla bellezza sfrontata e selvaggia della Jackson, la sua interpretazione così appassionata e viscerale nella pellicola me la fece amare alla follia. Adoro le donne forti – se poi anche belle diventano mie icone personali a vita entrando nell’olimpo delle mie predilette del grande schermo (non come quello del mio pc) – come Bette Davis o Anna Magnani per intenderci. Glenda Jackson per questo film vincerà l’oscar nel 1971 e ne vincerà un altro qualche anno dopo per “Un tocco di classe”, a dimostrazione che il suo talento non era passato giustamente inosservato nemmeno a Hollywood.

In “L’altra faccia dell’amore” invece, l’attrice di Birkenhead interpreta una donna all’opposto di quella forte del film precedente, una fragile avventuriera che pagherà lo scotto di un matrimonio di copertura con il musicista omosessuale russo Ciajkovskij finendo ricoverata in un manicomio a vita. Anche qui la sua interpretazione è eccelsa, da interprete di razza.

La Jackson non si è limitata a questi due film ovviamente, la sua filmografia è pazzesca. Negli anni settanta e primi anni ottanta è stata regina del cinema d’autore per registi come Joseph Losey, Robert Altman, Peter Brook, John Schlesinger, Melvin Frank, Ronald Neame e anche l’italiano Damiano Damiani per cui interpretò una suora in “Il sorriso del grande tentatore”. Ha fatto anche tanto teatro come ogni grande attore britannico che si rispetti fino a quando non si è buttata in politica col partito laburista diventando deputato alla camera dei comuni per il collegio di Hampstead and Kilburn, carica che ha ricoperto fino al 2015. Se n’è andata un’interprete grandiosa. Talenti come il suo per noi registi contribuiscono a farci proseguire il sogno di voler fare cinema; un sogno difficile, arduo, impervio di ostacoli.

Una grande attrice e un grande attore sono d’altronde fondamentali per farci amare un’opera cinematografica e aiutare noi comuni mortali ad affrontare la vita e a viverla come un sogno. Per fortuna che c’è il cinema. Ci rivediamo in uno dei tuoi film, Glenda Jackson!

 

 

(26 giugno 2023)

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