di Marta Angelini
Cosa sappiamo noi del mare? Nulla, non ne sappiamo davvero nulla. Anche se magari ci andiamo ogni anno in vacanza, quello che noi crediamo che sia il mare non è altro che la sua superficie, la buccia, come la chiama Fabio Genovesi che nel suo ultimo libro Il Calamaro Gigante edito da Feltrinelli ci pone di fronte alla nostra imperdonabile ignoranza.
Il nostro egocentrismo di terrestri, in senso letterale, abituati a stare con i piedi ben piantati al suolo, ci ha allontanati inesorabilmente dall’origine di tutto, dalla nostra storia evolutiva e dalla capacità di immaginare meraviglie. Altrimenti perché mai un bambino delle elementari che sceglie un calamaro gigante come animale preferito dovrebbe subire lo scherno dei suoi compagni di classe e l’imbarazzo della maestra che non crede all’esistenza di un essere tanto bizzarro?
Con questo ricordo d’infanzia, vera e propria parabola dell’ottusità, l’autore ci prende per mano e ci accompagna in un viaggio nel tempo e nello spazio nel quale si accumulano indizi sempre più convincenti sull’esistenza dell’imponente creatura marina e sulle donne e gli uomini che ci hanno creduto subendo, ça va sans dire, la derisione dei contemporanei. Come la testimonianza del capitano Bouyer che nel 1861 ha vissuto l’aggressione di una Cosa inspiegabile alla sua nave Alecton al largo delle isole Canarie, o il racconto sul terribile Kraken dai molti tentacoli di don Francesco Negri, prete di Ravenna del XVII secolo che parte per l’estremo Nord sfidando climi disumani e riuscendo a sopravvivere per mesi nelle vaste foreste scandinave. Ci narra dei stupefacenti fossili scoperti e collezionati dalla raccoglitrice di conchiglie Mary Anning nella costa inglese del Dorset e del riconoscimento di un esemplare vivente del leggendario Celacanto, pesce primitivo ritenuto estinto da 65 milioni di anni e trovato dalla biologa sudafricana Marjorie Latimer nel 1938.
Oggiogiorno, nonostante le nostre conoscenze scientifiche e le tecnologie di ricerca più avanzate, sappiamo davvero poco di questa imponente creatura degli abissi. Con i suoi 20 metri di leggiadria che danzano nell’acqua, il calamaro gigante vanta otto tentacoli indipendenti tra loro, più altri due, più lunghi, che gli permettono di afferrare le prede con una precisione micidiale. Il suo cervello si trova intorno all’esofago e i suoi tre cuori pompano sangue blu che contiene rame invece del ferro. Gli occhi, grandi come palloni da calcio, gli permettono probabilmente di scorgere delle ombre nel mondo oscuro a centinaia di metri di profondità e al posto della bocca ha un grande becco, come quello di un uccello.
Il capodoglio è talmente ghiotto di questi calamari che impiega quasi due ore per scendere nel suo regno e dargli la caccia. Come faccia un mammifero che si nutre d’aria e ama la la superficie ad orientarsi nel buio più totale e trovare la sua preda, rimane ancora un mistero ammaliante. Fatto sta che il grande cetaceo si rimpie la pancia di tonnellate di questa prelibatezza e nel suo corpo si accumulano grandi quantità di becchi indigesti che vengono avvolti da una sostanza che permette loro di essere espulsi dall’animale senza traumi. Questa poltiglia compatta di avanzi digestivi, una volta evacuata e trasformata dall’acqua di mare e dal vento diventerà la preziosissima ambra grigia, pregiato ingrediente bramato dai profumieri di tutto il mondo. Quante storie si possono raccontare su una creatura marina che abbiamo appena scoperto nonostante questa esista prima di noi?
Per secoli gli esseri umani sono stati ciechi, hanno rinunciato a credere all’impossibile nonostante, come spiega Genovesi, “viviamo in un mondo pazzesco, folle, favoloso, dove il calamaro gigante, semplicemente, clamorosamente, è la realtà”. E allora perché rinunciare a sognare? Perché dare per scontato che tutto sia già conosciuto e catalogato e che non ci siano margini per il singolare, lo smisurato, lo strabiliante? Perché spaventarci così tanto quando dovremmo esserne felici? La nostra ragione a volte, piuttosto che farci capire meglio le cose ce le nasconde. Fabio Genovesi la paragona alla fioca lampadina della tettoia della casa delle vacanze della sua infanzia.
In una notte estiva, nel silenzio della campagna toscana, sua nonna l’ha spenta di proposito e gli ha chiesto di aspettare. Dopo pochi istanti, il cielo è esploso in miliardi di stelle.
(16 ottobre 2023)
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