Bo Summer’s, “La pelle dell’orso” di Matteo Righetto

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LaPelleDell'Orsodi Bo Summer’s  twitter@fabiogalli61

Definito una volta per tutte che ogni libro di cui parlo me lo acquisto personalmente e che nessun ufficio stampa mi fa pressione in alcun modo, questa volta mi va di parlare di un inaspettato, piccolo, evento letterario.

Ognuno di noi arriva, prima o poi, in tutta la sua esistenza, lunga o breve che sia, alla “pelle dell’orso” in una forma o nell’altra. Il trucco di Righetto – che ha fondato il movimento Sugarpulp e ideato il progetto Scuola Twain, di cui è direttore – in questo breve ma intenso romanzo di formazione, è quello di mantenere desta l’attenzione con una scrittura che non ha nessuna intenzione di separarsi dal reale della narrazione con la figura, un po’ picaresca, nel senso buono del termine, del piccolo Domenico, novello Tom Sawyer delle Dolomiti, che se ne va al fiume a pescare, nonostante il rischio d’incontrarsi con lo Sconosciuto, l’Orco, l’Orso.

Hanno un posto, ancora qui, su questa nostra Terra smargiassa, le fiabe? quale tenda ci divide da loro? inserti di dialetto veneto, piccoli appunti di lingua che ridona realtà, e lo fa alternando dialoghi e azione che si mescolano con netti colpi d’ascia da boscaiolo, come fare un testacoda improvviso e robaltàrsi in una piccola storia orrorifica di paesino che è già mito, leggenda da ostarìa.

Ecco allora. Colgo l’idea di Moby Dick, qui dentro, e dalla canna da pesca del piccolo protagonista sbuca minaccioso l’arpione che non pescherà il pesce al fiume, ma forse l’orso, o il padre manesco: forse è meglio?

Il mondo sembra logico per noi, perché lo abbiamo fatto diventare logico.

Ecco un suggerimento, una filosofia: prenditi il tuo tempo, limitati ad affinare la punta dell’arpione o del tuo amo arrugginito per canna da pesca … l’Orso, sai, La Balena Bianca, quella di Melville, sì, la Natura, che è prava per sua stessa nascita, saranno la tua esperienza. Tutto questo scoprilo insieme col padre manesco, continuamente perso, sempre imbriago,  che parte col giovane figlio per l’avventura in una prima volta che sarà eterna.

Domenico ha dodici anni, corre per mano col padre, verso l’ignoto, a caccia del
Terribile, con una scrittura  che appare semplice, ma cesellata e che ha la velocità dell’immediatezza infantile, la sfrontatezza della gioventù, scaraventa dal pensiero del protagonista alle meraviglie della natura, all’incrocio delle terre ladine, col centro del cuore pulsante e delle inimmaginabili Dolomiti. Ma che tocca forte al sentimento e ti sferza via dai colori autunnali e dai pregiudizi sulla Natura, dalle meschinità degli uomini che di Natura non sanno.

Naturalmente questo è quello che volevo dire.  Chi diavolo crede di essere questo ragazzino?! Ha appena iniziato ad agitarsi nell’irrealtà d’un libro, che mi smuove un mondo di sentimenti. Ma un ragazzo che sfida la presunzione che qualsiasi tipo di verità assoluta crede di possedere, può essere compreso e ha già tutte quante le mie simpatie. Poi, quando apro un libro esauriente, mi piace così tanto parlarne che si pensa che io sia pagato per farlo.

 

 

post scriptum

Mi scuso con Luigi Meneghello, parlando con ironia, se son uno degli scrittori pomposi. Ma qui solo io, Righetto, ammesso che mi legga,  e pochi altri ci capiamo. E ci ridiamo sopra.

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