Festival Internazionale del Film di Roma: continuiamo a farci del male

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Festival Cinema di Roma 2013dal nostro inviato Alessandro Paesano  twitter@ale_paesano

Film diseguale con una sceneggiatura altalenante che non mantiene sempre un focus narrativo coerente ma ­si lascia andare a inutili divagazioni ed esitazioni, Her (Usa, 2013) di Spike Jonze, film in concorso, nominato agli Oscar come miglior film, che descrive la storia d’amore tra Theodor e una personalità femminile sviluppata da un software funziona principalmente grazie ai suoi due interpreti, Joaquin Phoeneix e Scarlet Johannson,  lui in carne ed ossa, lei solamente in voce, dando parola a un sistema operativo interattivo dotato di una propria personalità.Alessandro Paesano 00

Il tema non è nuovo e rientra in un recente filone hollywoodiano dove un maschio reale e umano interagisce con una creazione dell’umano ingegno, sempre femminile, della quale si innamora, proprio come succede in Her.

Anche la componente informatica non è nuova: il software che simula una personalità umana è il tema del terzo episodio della prima  di Black Mirror  serie tv british. Anzi lì la fantascienza va oltre perché la società che propone il software fornisce anche un corpo organico mentre qui Samantha (il nome che il sistema operativo ha scelto per sé) deve accontentarsi di un corpo surrogato, una giovane donna che, intenerita dalla storia d’amore tra lei e Theodor,  presta il suo corpo per farli interagire fisicamente.

Più ispirato nella prima parte, quando il film delinea le personalità di Theodore e Samantha raccontandoci il loro avvicinamento e l’amicizia che nasce tra l’umano e …l’informatica, il film perde direzione dopo un’ora e gira un po’ a vuoto traghettandosi verso un finale non banale, ben pensato e coerente.
Festival Cinema Roma 2013 -15 HerIl cuore del film è l’innamoramento come apertura verso l’altro, l’altra, poco importa se quest’alterità ha un corpo umano o è puro spirito. L’importante è accogliere l’altra e aprirsi agli altri. Solo così Theodor può riconciliarsi con l’ex moglie e iniziare ad avere relazioni umane che posano dirsi tali. Tantissime le incongruenze e gli elementi superficiali nella storia  che avrebbero necessitato di una maggior elaborazione in fase di sceneggiatura.  Samantha per fare una sorpresa a Theodor manda a un editore alcune delle lettere che lui scrive su commissione (è il suo lavoro) senza pensare minimamente a problemi di privacy o di copyright (se io ti pago perché tu scriva una lettera a mio figlio per congratularmi della sua laurea poi non voglio certo che la mia lettera finisca in un tuo libro; non dico che il problema sia insormontabile ma il film nemmeno lo accenna). Quando Theodor scopre che Samantha mentre conversa con lui (parlano tramite un auricolare) intrattiene anche altre ottomila conversazioni ne rimane sopraffatto così come quando scopre che lei è innamorata di altre seicento persone mentre lui pretende l’esclusiva. Una considerazione più che romantica  conservatrice, se non reazionaria, ipocrita e maschilista. Perché noi intraprendiamo già più conversazioni grazie alle Chat o ai social network e spesso giuriamo di amare nostra moglie ma poi abbiamo una o più amanti. La differenza non è dunque qualitativa come pretende Theodor, ma  quantitativa, essendo Samantha un sistema operativo capace di una maggiore velocità di calcolo di noi umani.

Ancora quando Theodor vede il lavoro di una sua amica, programmatrice di videogiochi, in una delle tante lungaggini del film, assistiamo a un tritissimo e vecchio (anche nella grafica) videogioco sessista dove una mamma deve fare punti nutrendo i figli e portandoli a scuola per prima, un po’ in contrasto non solo con la società contemporanea (figuriamoci con quella dell’immediato futuro nella quale il film ambientato) ma con la cultura informatica che rende quel gioco vecchio già oggi figuriamoci domani.Festival Cinema di Roma 2013 Logo

L’impressione generale del film è che sia in uno stato di bozza, di versione beta con alcune parti curatissime e altre grossolane e non sviluppate e se il film piace (gli applausi in sala erano esagerati) è perché segue i percorsi molto ovvi del romanticismo dove lui è sensibile (il suo datore di lavoro gli dice che se è sensibile è grazie alla sua parte femminile e Theodor lo guarda come gli avesse appena dato del frocio…) e lei è prima la ragazza naif e pura che tanto ci piace e poi la stronza che ci fa soffrire. Jonze cerca di bilanciare questo assett della coppia proponendo il reciproco nella amica di Theodor, quella del videogioco, che ha un marito che è un maniaco del controllo (e che finirà tra i buddisti a fare il voto del silenzio, che scena grossier…).

Vedendo film del genere non ci si può sottrarre dal pensare che gli Stati uniti d’America non hanno spessore culturale che possa dirsi tale   e che questo film impallidisce di fronte quelli europei, per tacere di quelli non occidentali.
Her sta ai film europei come un articolo di Vanity Fair sta a un romanzo.

Non che il film abbia la minima pretesa di essere un esempio di cultura, vuole essere solo intrattenimento ma tradisce la sua presunzione nella durata 120 minuti esatti che avrebbero potuto essere tranquillamente 90.

Festival Cinema Roma 2013 -16 Charlie GustafssonAndiamo avanti, incuranti del pericolo, con un altro film in concorso nella sezione Alice nella città, Sitting Next To Zoe (Svizzera, 2013) di Ivana Lalovic un film superficiale che dà nuovo lustro a vecchi cliché, appena aggiornati alle nuove mode. Zoe e Asal, amiche per la pelle, la prima autoctona, sovrappeso, patita del make up, la seconda migrante, secchiona, morigerata,   mettono involontariamente a rischio la loro amicizia a causa del bellissimo Kai, trapiantato dalla Svezia a lavorare come meccanico presso l’officina dell zio.

Asal durante un weekend per i monti con Zoe e Kai finisce  a letto con lui (che ha nel portafogli il profilattico) lo vediamo nudo sopra di lei, il sedere al vento e così li vede anche Zoe.  Nonostante Zoe commenti che Kai è solo il primo della lista Asal si incotta di lui che invece sembra interessato di più a Zoe… Tra classismo di maniera (Zoe non passa l’ammissione al liceo Asal sì; Asal vuole andare all’università mentre  Zoe pensa di studiare make up a Parigi da Dolce e Gabbana) sessismo nemmeno troppo dissimulato (Zoe è grassa perché la madre, commessa di supermercato, non fa la donna e prepara solo cibi precotti, e si accompagna con un uomo che non è il padre della ragazza) la regista confonde il sesso con l’amore molto più di quanto non facciano le adolescenti di oggi.

Il lieto fine, improvviso, improbabile e improponibile  (D&G accettano le due amiche per uno stage a Parigi…) nel quale Kai non ha posto (e dunque il casus belli non viene risolto) non basta per sottrarre Sitting Next To Zoe da una forte aura di inconsistenza, il cui unico motivo per esser visto è la bellezza adolescenziale del giovanissimo Charlie Gustafsson  (provare per credere).

Dolorosamente discutibile Atlas (Francia, 2013) in concorso  nella sezione Festival Cinema Roma 2013 -14 AtlasCineMaxxi, di Antoine d’Agata, fotografo “estremo” (come recita il programma di sala) dell’agenzia Magnum.

Le sue foto famose diventano in questo film il soggetto di un viaggio personalissimo nella prostituzione e negli stupefacenti.

Le sue foto sono  riproposte come veri e propri tableaux vivant  nei quali i soggetti ripresi rimangono immobili oppure si muovono impercettibilmente, oppure eseguono un movimento, a seconda che si iniettino o sniffino sostanze stupefacenti o si masturbino o copulino, sempre  mantenendo la posa che poi diventerà (o è stata) foto. Questa ricerca della foto come   posa plastica svela il meccanismo che si cela dietro le foto che non diventano più scatti fermati ma immagini pensate e allestite per la ripresa foto-cinematografica.

Festival Cinema Roma 2013La qualità delle foto dalla luce caravaggesca, che danno risalto ai dettagli dell’incarnato, i colori dominanti sul blu e sul rosso, ne fanno delle belle immagini che contrastano con l’argomento che trattano o illustrano, la prostituzione e la tossicodipendenza con i suoi corollari della demenza e dell’aids cui alludono dei testi recitati in prima persona da queste donne prostitute in diverse lingue a seconda della zona geografica.

Testi anche loro estetizzanti dove la parola è mossa da un afflato poetico, dove la prostituzione non è mai vista o descritta come sfruttamento da parte dei maschi, sia dei clienti che dei protettori, ma come scelta individuale, magari autodistruttiva, ma sempre riguardante la sfera privata della donna che ama o che odia, che vuole essere e fare la prostituta senza ma alcun accenno all’economia o al patriarcato che la prostituzione muovono.

Settantasette minuti di immagini e parole che vogliono essere un risarcimento non già dello sfruttamento delle donne, ma delle vite  di queste derelitte che arrivano alla prostituzione per scelta, o per ingenuità, della quale però non sono mai le vittime ma, al massimo, delle complici.

Quando in sala faccio presente il problema, all momento delle domande del pubblico, mi guardano come se avessi fatto una scorreggia puzzolente in chiesa e mi spiegano che questo documentario è un diario di viaggio personale del fotografo (che fa foto da oltre 30 anni) – le due definizioni per me sono contrastanti o fai un diario o fai un documentario – e che mette in scena solo il punto di vista del suo autore che non pretende certo di rispondere ai problemi filosofici o etici che io ho posto.

Una donna in sala mi dà del cattolico e mi dice che questo film d’arte mostra il dolore delle donne i cui corpi magari venissero sacrificati ogni giorno all‘arte come in questo film e non alla violenza. Come se anche la prostituzione non fosse violenza fatta dagli uomini sulle donne. Amen.

 

 

 

 

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©alessandro paesano 2013
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