Festival Internazionale del Film di Roma: il nostro gaio inviato è entusiasta

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Festival Cinema di Roma 2013 Logodal nostro inviato Alessandro Paesano  twitter@ale_paesano

Una giornata fantastica quella di ieri che ha continuato a regalarci dei film memorabili che hanno regalato al pubblico un dubbio in più, una certezza di meno e una nova domanda.

Volantin Cortao (Cile, 2013) di Diego Ayala e Anibal Jofré, film in concorso, ci offre il ritratto di un minore che ha problemi con la giustizia presentandocelo non dal punto di vista normalizzante della società borghese,  che cerca di far reinserire un giovane che si è allontanato dalla legalità, ma da quello del disagio comune che  colpisce tutte le persone  giovani chiamate ad adeguarsi allo status quo oppure ad opporvi un’alternativa entro la quale sentirsi più espresse. Tra la ventunenne Paulina,  assistente sociale tirocinante in un istituto di riabilitazione per adolescenti, e il sedicenne Manuel, in libertà vigilata con un’accusa di furto con intimidazione e violazione di domicilio, scatta naturale una simpatia. Nessuno dei due giudica l’altra per quello che rappresenta nella società e che, dal proprio punto di vista, è pregiudicante (il delinquente dal punto di vista di lei, la guardia dal punto di vista di lui). Paulina lo va a trovare a casa, dove conosce la nonna che lo ha cresciuto come un figlio, lo frequenta al di fuori dell’Istituto e per questo perde il tirocinio e compromette la sua carriera, per decisione di un direttore zelante e ligio alle regole. Insofferente verso un imperativo morale che sente estraneo, Paulina si lega a Manuel  con un sentimento che sfiora anche la sfera sessuale, finché per stanchezza, per sfida, per sfiducia non lo induce a entrare in un appartamento, gesto dalle conseguenze disastrose.  C’è una canzone che Manuel canta sull’autobus, cercando di alzare qualche spiccio, i cui versi recitano non lasciatevi corrompere dalla legge. Alessandro Paesano 00

Questo verso ci sembra il nucleo etico e politico del film, che i due autori sviluppano con una felicità registica e narrativa notevole: i lunghi pedinamenti nei quali seguiamo gli spostamenti di Paulina, mentre gira per le strade di Santiago, i discorsi borghesi fatti a tavola dai suoi genitori, le condizioni economiche della famiglia di Manuel, dalla casa spartana, contro le suppellettili inutili e kitsch del ricco appartamento in cui la coppia irrompe alla fine del film,  costringono il pubblico a chiedersi cosa fare senza suggerire una risposta  ma ponendo una domanda di altissima  efficacia e intelligenza alla quale non ci si può sottrarre.
I due giovani registi  ci tengono a sottolineare  come il loro racconto si svolga nel contesto del Cile contemporaneo, nel quale l’enorme disuguaglianza economica incide brutalmente sul sociale.

Senza voler fare dei paragoni, ci sembra che la sperequazione sociale sia un male diffuso anche nella vecchia Europa e questo film sa indicare il cammino da fare non già suggerendo una risposta ma ponendo le domande dall’unica prospettiva possibile intellettualmente onesta e sincera.

Leijonasydän (t.l. Cuore di leone) (2013, Finlandia\Svezia) di Dome Karukoski, in concorso nella sezione Alice nella città,  racconta di Teppo, neo nazista a capo di una cellula militante finlandese, e del suo incontro con la cameriera Sari che gli fa sperare di poter intraprendere una storia seria. Quando la donna scopre che Teppo ha un tatuaggio con la svastica lo caccia di casa, Rhamu, suo figlio adolescente, è mulatto. Il film si incentra sul percorso di Teppo che, da un lato, cerca di conquistare la fiducia di Rhamu, che lo considera   un nemico, e, dall’altro, cerca di barcamenarsi con i suoi amici e amiche neonazi cui cerca di nascondere il figlio della sua nuova compagna.

Il film, in perfetto equilibrio tra realismo e commedia, è scritto con intelligenza e arguzia.

Teppo per una volta non agisce ma subisce le reazioni ostili e xenofobe, sia quelle rivolte a Rhamu, vessato dai compagni di scuola, alle quali Teppo reagisce con uno squisito spirito familistico, sia quelle a lui rivolte   dai suoi amici neonazi tra i quali c’è anche un fratellastro psicopatico che ha disertato dall’esercito,   si piazza a casa di Sari e cerca di uccidere con una  granata il padre di Rhamu, che lo provoca con la fastidiosa petulanza di un adolescente.

Il film ha ragione nell’indicare come le dinamiche violente derivino sempre dalla contrapposizione dello spirito di gruppo, di una appartenenza antagonista tra opposte fazioni, ma fallisce quando individua il motore di questa contrapposizione nello spirito di corpo, nell’appartenenza a una famiglia.

Sbaglia per diversi motivi. Il primo e più macroscopico è che queste dinamiche di contrapposizione non si basano sul sentimento ma sulle idee (se certe idee possono chiamarsi tali). Idee che non nascono spontaneamente dal basso ma sono alimentate da un sistema reazionario di controllo, dalla stampa ai governi, dalla televisione al cinema, appunto, che su questa contrapposizione legittima la deriva antidemocratica dell’Europa, basti pensare alle campagne elettorali incentrate sul concetto di popolo sulla contrapposizione tra noi e loro ai servizi televisivi sui migranti descritti come stessero compiendo un’invasione.

Festival Cinema Roma 2013 - 29 OrlandoIl valore dell’antinazismo non è presentato nel film come un valore assoluto, uno dei valori fondamentali della convivenza civile e della democrazia,  ma come una delle dinamiche di gruppo.  Un errore di prospettiva madornale e pericolosamente qualunquista.

Il secondo errore madornale del film è fare del neonazismo una questione privata che Teppo riesce  a superare per amore di una donna. Sari a sua volta caccia Teppo di casa non  perché per lei l’antinazismo è un valore ma perché direttamente colpita dal neonazismo in quanto madre di un figlio mulatto.

Ridurre le questioni ideologiche a un fatto privato, della vita privata, scollegato da ogni valore comune, da un abc di convivenza solidale  porta a descrivere Teppo e le sue relazioni con il gruppo di neonazisti di cui è il leader come se quella fosse la sua famiglia.

Teppo però non è nato neonazista.

Le persone nascono nere, mulatte, donne, omosessuali, però non nascono neonaziste. Non nascono xenofobe, proprio come non si nasce maschilisti od omofobi, lo si è per scelta, per volontà.

Non si diventa neonazisti per sbaglio, per omologazione, per tradizione familiare, perché ai pensieri maschilisti e omofobi del gruppo di Teppo seguono anche le azioni (picchiare le persone straniere, distruggere i chioschi di chi viene a fare un lavoro in Finlandia che nessun altra persona vuole fare).

Quella di Teppo non è una famiglia ma una banda di delinquenti e non può essere annoverata tra le possibili aggregazioni umane lecite.

Lo stesso errore di prospettiva lo ebbe il film danese Broderskab (Danimarca, 2009) di Nicolo Donato che raccontava una storia molto simile, nel quale l’elemento narrativo era l’omosessualità e non la xenofobia, film che vinse proprio al festival del film di Roma.

Certi valori (sic!) non hanno diritto di cittadinanza in una società democratica accogliente e rispettosa delle differenze. La retorica del diritto di opinione deve avere dei limiti: se dico che nessuna persona può affermare che le donne siano inferiori agli uomini, i neri ai bianchi, che le persone omosessuali siano malate, non lo faccio perché io sono nero, donna o gay.

Non lo dico perché direttamente coinvolto lo dico  perché so che è sbagliato.

Se non impariamo questo semplice concetto possiamo credere che a una persona (?) come Teppo basti l’amore per una donna per cambiare i suoi sentimenti mentre si tratta di un modo di pensare che non si cambia con la passione ma con la ragione. Festival Cinema Roma 2013

Questo film col suo improbabile lieto fine finisce per assolvere il razzismo che si annida in ognuno e ognuna di noi illudendoci che l’amore possa guidarci verso una pacifica convivenza quando solo l’agire politico (nel senso di vita nella città) può garantire una sana convivenza costruita sulla sororanza e la solidarietà.

L’ultimo film di una giornata magnifica è stato Roland Blessée (t.l. Orlando ferito) (Francia, 2013) di Vincent Diutre, presentato in concorso nella sezione CineMaxxi.

Personale, politico e militante, il cinema ai Vincent Diutre è una vera boccata di ossigeno    dimostrando che si può fare un film personale, diaristico, senza essere dei narcisi autoreferenziali come altri lavori presentati sempre nella sezione CineMaxxi.

Roland Blessée  è un film personalissimo ispirato alla risposta di George Didi-Huberman al saggio La scomparsa delle Lucciole, scritto da Pier Paolo Pasolini poco prima di essere assassinato.

Nel suo saggio Pasolini rilevava la scomparsa delle lucciole e ne faceva una metafora della catastrofe culturale di un neo fascismo che stava investendo l’Italia  cambiandone coordinate e valori, cancellando la vitalità di un popolo come nemmeno il fascismo storico era riuscito a fare.  A guardare il paese oggi, scrive Didi-Huberman nel suo saggio Surivivance des Lucioles, 2009 edition de Minuit, tradotto in italiano per i tipi di Boringhieri di Torino nel 2010 col pessimo titolo Come le lucciole (e se il titolo dà lo spessore della traduzione meglio l’originale…) la denuncia di Pasolini è profetica noi viviamo nella catastrofe che Pasolini presagiva. Però, aggiunge il filosofo francese, non possiamo abbandonare la speranza: le lucciole non sono scomparse sono solo nascoste dalla luce accecante della catastrofe. Più che una critica a Pasolini, dice Didi-Huberman che appare nel film e parla in un italiano perfetto, il mio libro  è una critica alla giustificazione addotta oggi da chi ha scelto di rassegnarsi.

Come educare ed educarsi a questa speranza?, si chiede  Vincent Diutre. La risposta è un viaggio nella mitologia narrativa dei Pupi siciliani, che lo conduce a esplorare l’isola italiana con uno sguardo  guidato da una curiosità molteplice, politica e culturale, da cineasta che apprezza scorci, svolti, paesaggi  e da omosessuale il cui punto di vista non emerge come rivendicazione di militanza ma come componente della propria personalità. Dai messaggi osceni nei bagni degli uomini ai giovani palermitani in marcia per il primo gay Pride siciliano, l’omoerotismo che sostiene lo sguardo del regista è uno spunto gaio e sincero, franco e disinvolto da cui imbastire un discorso per tutte e tutti mentre illustra le coordinate con le quali intende orientarsi nella sua ricerca. Una ricerca che lo porta a allestire una messinscena di Pupi (grazie all’Associazione Figli D’arte di Mimmo Cuticchio) dove un Orlando ferito cerca di ritrovare il senno in un mondo che brucia.

Moltissimi gli spunti di riflessione che il film offre il più importante dei quali ci sembra quello che ricorda Pierandrea Amato, professore di filosofia all’università di Messina e autore del libro La rivolta  uscito nel 2010 per i tipi della Cronopio di Napoli: la rivolta è un gesto e non un valore.

Sono tempi in cui non basta parlare ma bisogna agire, una azione da fare qui e ora senza pensare a organizzarla, a programmarla. Sottrarsi dal discorso della catastrofe e vivere ailleurs  un altrove non spaziale ma del pensiero, del discorso e dell’agire politico appunto.

Un film saggio che appassiona  e non annoia nonostante le due ore piene di durata, programmato alle 22 di ieri (o alle 22 e 30 di ieri l’altro) perchè la cultura, nel senso più democratico e popolare del termine, non è sostenuta nemmeno ai festival che preferiscono incentrare le giornate di programmazione su film ultracommerciali (e di nessun valore) come The Hunger Games: Catching Fire il secondo capitolo (ma il programma del festival si guarda bene dal dirlo) di un adattamento degli omonimi libri di fantascienza (sic !) di Suzanne Collins i cui fan, ragazzi e ragazze liceali, hanno invaso l’Auditorium offrendo un tributo vano data la pochezza del film, presentato fuori concorso, nelle sale dal 27 novembre p.v. (con un giorno d’anticipo rispetto le uscite che di solito sono di giovedì).

 

 

 

 

 

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