dal nostro inviato Alessandro Paesano twitter@ale_paesano
Il film di Veronesi L’ultima ruota del carro (Italia, 2013), presentato fuori concorso, vorrebbe tanto assomigliare ai film della felice stagione della commedia all’italiana raccontandoci della vita di Ernesto Fioretti dalla adolescenza alla maturità attraversando 40 anni di storia dal 1967 al 2013 dove però nulla della storia sociale è riscontrabile nelle dinamiche familiari mostrate nel film e dove il senso di onestà di Ernesto è declinato secondo i dettami di una naïveté che lo fanno onesto e fesso mentre parenti e amici smuovono raccomandazioni, mettono su società truffaldine coi socialisti e finiscono in galera.
Il film è ispirato alla vita di una persona davvero esistente e questo infastidisce ancora di più perché ipoteca il film con una pretesa di verosimiglianza inesistente visto che la storia è sceneggiata (da Chiti, Veronesi, Bologna e lo stesso Fioretti) laddove tutto quello che ci viene raccontato fa leva sulla (scarsissima) memoria storica del pubblico toccando alcuni fatti epocali (la morte di Moro, il lancio di monetine a Craxi) e ignorando i grandi cambiamenti sociali che, pure, tra gli anni 60 e 70 hanno trasformato radicalmente un paese fondamentalmente contadino (come ricordava Pasolini).
Il film si sofferma di più sui dettagli scenografici, tra auto d’epoca e acconciature anni 80, che alla sostanza raccontata, privilegiando un punto di vista qualunquisticamente imparziale, con una semplificazione cara a certa fiction tv più che al respiro profondo del cinema di una volta (basta pensare alla capacità che avevano certi film di Risi a cogliere la società pur essendo delle commedie).
Scopo ultimo del film sembra essere l’autoassoluzione di un paese dove chi va in galera per truffa allo Stato è un povero diavolo e l’onestà è un bene condiviso e diffuso e di Berlusconi si ha il coraggio di alludere in termini negativi solo adesso che è politicamente finito.
Presente al festival in ben 4 proiezioni L’ultima ruota del carro esce in sala il prossimo 14 Novembre come dire che la sua presenza al Festival (che finisce il 17) è un mero trampolino di lancio pubblicitario…
Cazando Luciérnagas (Colombia, 2013) di Roberto Flores Prieto tratto dalla raccolta di racconti omonima di Carlos Esguerra, ci racconta del cambiamento che avviene in Manrique, il guardiano di alcune saline abbandonate sul mare dei Caraibi, dopo la visita di Valeria, la figlia di dodici anni di cui l’uomo non sapeva l’esistenza. Cambiamenti caratteriali che il film ci mostra in piccoli dettagli: Manrique reagisce con un mezzo sorriso alle assurde barzellette di un collega di lavoro col quale è in contatto via radio, unica altra presenza umana; carezza un cane trovatello che ha adottato cui prima dava solo da mangiare, etc.
La scansione narrativa è costruita su un impercettibile ma continuo accorciamento dei tempi narrativi all’inizio estenuanti e lunghissimi (un approdo dalla barca con la quale espleta le sue funzioni di guardiano ripreso in tempo reale) e poi via via sempre meno lunghi quando Manrique incontra Valeria.
La struttura del film però non entra mai nel profondo dei suoi personaggi, delle cui vite ci viene detto assai poco, né offre uno squarcio sociale o politico sul paese, presentandosi col respiro del racconto breve (è infatti tratto da un racconto letterario…) che si addice più al mediometraggio che a un lungometraggio della durata di 113 minuti…
Un film da festival interessante per l’impiego dei tempi lunghi e dei piani sequenza, ma che nel racconto non dice davvero nulla di nuovo.
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