Festival Internazionale del Film di Roma: ci sono sorprese e sorprese

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Festival Cinema Roma 2013dal nostro inviato Alessandro Paesano  twitter@ale_paesano

Gran bella sorpresa蓝色骨头 traslitterato in Lanse Gutou (t.l. Ossa blu) (Cina, 2013) di Cui Jian, che ci racconta con una trama circolare una storia intergenerazionale di amore e destino.

Il ventenne Zhong Hua racconta i trascorsi della propria infanzia, quando il padre lo sottrasse alla madre la quale, per fermarli, sparò un colpo di pistola (accidentale a dire il vero) che ferì l’uomo all’inguine. I flashback con cui Zhoungh Hua ci ragguaglia su quanto accaduto nel suo passato sono ricorsivi e aggiungono ogni volta un tassello fondamentale alla storia che spetta al pubblico ricostruire nella sua linearità o viverla con l’emozione con cui il narratore vuole raccontarla. Alessandro Paesano 00

Quello che  Zhoungh Hua non sa glielo scrive il padre in una lettera esplicativa, ora che il cancro scaturito dalla ferita all’inguine lo sta uccidendo. La madre, giovane scelta dal regime ai tempi della Rivoluzione Culturale, conosce Fu Song il figlio di un generale e se ne innamora. Ma il ragazzo è legato da un sentimento profondo per un altro ragazzo il quale si innamora di lei… Una poesia che la ragazza scrive a Fu Song diventa il testo di una canzone che la giovane canta con l’amato di Fu Song. La canzone dà scandalo accusata di parlare  di sentimenti borghesi e pone fine alla carriera politica dei tre. La madre finirà in campagna e sposerà l’amante di Fu Song.

L’intreccio, complesso  e dalle tante ramificazioni, è raccontato in parallelo con la vita presente di Zhoungh Hua, la sua militanza come hacker, la diffusione di un virus tramite una canzone da lui scritta, per sensibilizzare sulla mancanza di libertà in Cina (anche) sul web.

Festival Cinema Roma 2013 - 28 Lanse GutouSviluppato visivamente con una splendida fotografia pop e un montaggio metalinguistico (parti di alcune scene sono addirittura  videoproiettate sul corpo degli interpreti) solo apparentemente mutuato da quello del web o del videoclip, in realtà ampiamente ancorato al linguaggio cinematografico Lanse Gutou è un riflessione seria, ambiziosa e riuscita, niente affatto barocca, sulla Storia, quella personale delle proprie origini e quella collettiva della propria epoca, e anche sull’amore e sul suo sacrificio.

Una splendida sequenza di montaggio lo esemplifica: quando  i futuri genitori di Zhoungh Hua provano la canzone ricavata dalla poesia scritta da lei per Fu Song, il giovane danza sotto la doccia – in un tributo omoerotico sottile ma evidente – reagendo così alla gelosia, la danza   si trasforma   nella performance che costerà la carriera a tutti e tre.
Il film impiega diverse icone tematiche (riportate nello splendido pressbook) ravvisabili nella struttura narrativa (i simboli dell’uccello e del pesce per sottolineare la differenza tra i due innamorati) nel montaggio, nei testi delle canzoni e nelle musiche stesse, per riassumere alcuni dei temi sfiorati da un film incentrato sulla musica (il regista Cui Jian è considerato il più importante artefice del rock cinese) che diventa elemento di riflessione, di autoaffermazione e di auto espressione.

Finalmente il Festival ci regala un film di ampio respiro, con un corpo e uno spessore davvero cinematografici privo di quelle tante formule semplificatorie e televisive di tanti, troppi, titoli che infestano la programmazione. Pessimi i sottotitoli italiani sensibilmente diversi da quelli inglesi che censurano l’unico riferimento davvero gay presente nei dialoghi.

Certo l’amore tra uomo e donna trionfa e quello tra uomini rimane nascosto e sublimato nell’amicizia, il padre di Zhoungh Hua avrà al fianco fino alla sua morte Fun Song legati da amicizia ( ma anche da un reciproco tornaconto politico) e non la moglie, ma il film presenta comunque l’amore tra uomini come una opzione naturale in una maniera molto più efficace di tanti film più apertamente di militanza.

A sapersi accontentare…Festival Cinema Roma 2013 - 27 Uvanga

Uvanga (t.l. Me stesso) (Canada, 2013) di Marie-Hélène Cousineau e Madeline Piujuq Ivalu, penultimo film in concorso nella sezione Alice nella città racconta del ritorno della  canadese Anna

nell’isola di Igloolik, nell’Artico, con suo figlio Tomas avuto  14 anni prima da una relazione con un uomo di etnia Inuit. L’uomo è morto in circostanze misteriose c’è chi parla di incidente, chi di suicidio… Per Anna significa ritrovare una parte della sua vita che ha dovuto lasciare in fretta, scopriremo solo alla fine per il carattere violento del padre di suo figlio. Per Tomas è l’occasione di scoprire la sua famiglia Inuit, il fratellastro Travis, i nonni, lo zio.
Girato interamente a Igloolik il film mostra un viaggio parallelo, quello di Tomas che scopre la cultura Inuit, la caccia alla foca, il grasso di balena e il fegato di foca mangiati crudi, dove le radici non significano tradizione (ragazzi con i capelli colorati di rosso ci sono anche lì) e dove la complessità umana supera qualunque cliché: l’attuale compagno della madre di Travis alcolista e giocatore d’azzardo si rivela una persona attenta ai sentimenti dei due ragazzi raccontando forse una pietosa bugia sulle circostanze della morte di loro padre. Insopportabile e imperdonabile per l’uccisione in scena di alcuni animali, poco importa se poi di quegli animali ci si è cibati o se la caccia fa parte dell’economia e della tradizione Inuit – vedere Tomas imparare a sparare e uccidere animali mentre i maschi del posto sfoderano un sorriso ebete è una scena diseducativa che in un film di Alice nella città non ci aspettavamo proprio – Uvanga non è affatto banale e ci propone una versione artica del tema del ritorno e dell’affrontare le proprie origini.

 

 

 

 

 

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