Rendez-vous: il 4 aprile solo film diretti da donne, belli, meno belli, mai banali

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Rendez-Vous 2014di Alessandro Paesano

Ricca e intensa giornata di programmazione ieri (4 aprile, ndr) per la quarta edizione di Rendez-Vous, nella quale abbiamo scelto tre film, tutti diretti da donne, ma non li abbiamo scelti per quello,  di diversa caratura ma che ognuno, a suo modo, consente di saggiare la salute o, se preferite, lo stato dell’arte del cinema contemporaneo francofono.

La giornata si è aperta con Pour un femme (t.l. Per una donna – Francia, 2013) di Diane Kurys  un film che racconta una pagina poco ricordata del secondo dopoguerra che vide molti gruppi di giovani attivisti ebrei chiamati le vengeurs (i vendicatori) che cercavano di punire con la morte i nazisti scampati ai processi.
Questa coordinata storica è solo lo sfondo narrativo del film contro il quale si staglia la più tradizionale delle storie d’amore. Una donna e un uomo sposatisi per sottrarsi a un campo di concentramento legati da un sentimento diversissimo, amore a prima vista per lui, gratitudine e solidarietà per lei il cui menage familiare viene sconvolto dall’arrivo del fratello di lui del quale la dona si innamora. Rendez-Vouz 2014 - 00 Pour Une Femme
La retorica del racconto segue i cliché più maschilisti che descrivono le donne tutte dedite al privato e all’amore per un uomo e gli uomini affermarsi professionalmente e politicamente. Sintomatica la scena in cui la moglie innamorata del cognato invece di curarsi della figlia piccola se ne sta a letto a fumare e leggere riviste…
La storia del film parte da un elemento autobiografico della regista, una foto trovata dopo la morte della madre nella quale compare uno zio del quale Kurys ignorava persino l’esistenza. Questo elemento è riportato nel film che racconta la storia d’amore in flashback, ambientandolo negli anni ’80 quando una giovane donna scopre una foto che le fa indagare sul passato della sua famiglia.

Quando abbiamo chiesto alla regista come mai mentre le donne ritratte in Roma città aperta (Italia, 1945) di Rossellini partecipano attivamente alla vita politica e sociale della città mentre quelle ritratte nel suo film si preoccupano solamente di avere  al loro fianco l’amato bene (un’amica della protagonista tradisce il marito, brutto e non più giovane, capo sezione del Partito comunista francese, preferendogli l’aitanza prestante di un giovane camerade) la regista ci ha risposto che evidentemente le donne italiane del dopoguerra erano più avanti di quelle francesi di allora. Alcuni commenti di Kurys fatti durante la master class (che si è rivelata una più modesta  e meno interessante séance di domande del pubblico) nei quali indica le donne, in quanto educatrici dei figli, le responsabili del maschilismo con cui quegli uomini crescono, oppure le critiche alla teoria del gender (“oggi di moda in Francia non so qui da voi”) che la regista dimostra di non avere minimamente capito visto che gli oppone una parità tra i generi come se la teoria cui si riferisce affermasse il contrario, spiegano l’angusto orizzonte politico dal quale Diane Kurys ha diretto un film molto poco cinematografico e con la vocazione delle fiction italiane nelle quali qualunque periodo storico è scomodato solamente per propinarci la solita storia d’amore.

Dopo un’ora di buco (la master class è durata solo 50 minuti) è stato proiettato Une place sur la terre (t.l. Un posto sulla terra – Francia\Belgio, 2013) di Fabienne Godet un film che ha il respiro del romanzo nel tratteggiare storia e psicologie dei suoi personaggi: Antoine, un fotografo solo e alcolista, Matèo, un bambino figlio di una vicina anche lei sola, cui l’uomo fa da baby sitter diventandone amico ed Elena una giovane pianista che vive nel palazzo di fronte e che l’uomo fotografa già da tempo a sua insaputa che tenta il suicidio davanti l’occhio attonito del fotografo che non riesce a smettere di scattare foto.Affiche

Il film ci racconta del loro incontro, dell’affetto reciproco che non sfocia mai nel sesso e dice molto anche in quel che mostra (la famiglia di Elene, l’agenzia fotografica dove Antoine lavora,  la personalità di Matèo anticonformista e amante dei vestiti fiabeschi da principessa, senza per questo mettere minimamente in discussione il suo ruolo di genere) e non solo nei dialoghi.
Girato con una fotografia curatissima, proprio come gli scatti fotografici di Antoine che vediamo spessissimo, in fermo immagine, subito dopo che gli ha presi (foto fatte da Michael Ackerman) con una cura particolare per il suono  e la musica (quella suonata al piano da Elene) e una direzione da manuale per le attrici e gli attori, anche il piccolo Max Baissette de Malglaive che interpreta Matèo Une place sur la terre al momento non ha ancora una distribuzione italiana, fatto che dimostra l’estrema necessità di un festival come Rendez-Vous per permette anche al pubblico italiano quello romano di ieri e delle altre città in cui Redenz-Vous farà tappa, di vedere gioielli come questo.

Ci siamo poi spostati a Villa Medici dove abbiamo visto Tirez la langue, Mademoiselle (t.l. Mostrate la lingua, signorina – Francia, 2013) di Axelle Ropert che racconta l’innamoramento di due fratelli, Boris e Dimitri Pizarnik, entrambi medici e che lavorano insieme, per la stessa donna, madre di una loro piccola paziente.
Un film eccentrico, nel senso letterale del termine, che ci racconta cioè una storia guardandola non dal centro dei personaggi o di quel che succede loro, ma defilandosi, avendo come sguardo quello che si può avere quando cogliamo l’interno di una casa grazie a una finestra generosamente spalancata. Rendez-Vouz 2014 - 01 Tirez la Lengue
Un film sulla solidarietà tra persone, sulla solitudine e sulla fragilità delle relazioni umane che si muove seguendo il crinale di un racconto a tratti poco plausibile (per alcune coincidenze troppo telefonate di sceneggiatura) ma che non scade mai nella banalità, il comportamento adolescenziale dei personaggi del quale è al contempo la sua forza e il suo limite.
Una storia che nonostante sia raccontata con un registro realistico ha in sé qualcosa dell’esemplarità del racconto morale, inneggiando a una speranza che conduce verso il lieto fine (almeno per uno dei due fratelli) che si colloca a metà strada tra la scelta politica e la più romantica delle naiveté.

 

 

 

 

 

©alessandro paesano 2014
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