di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
Lui (La Bestia) deve rapire una ragazza che gli è stata indicata per asportarle gli organi e rivenderli ai bisognosi, la malavita che ne fa traffico, ma sbaglia ragazza e si trova nei guai. Il boss gli ordina di ammazzarla, ma lui è un brav’uomo – si vede subito – e non ce la può fare.
Sindrome di Stoccolma, buonismo, storie parallele tra i due protagonisti, figlia malata e sorellina morta, la società che si occupa solo di belle automobili, telefoni cellulari e se ne frega degli altri: insomma c’è tutto, compreso il lieto fine con tanto di morale.
Mancano solo un po’ più di profondità nel testo, una regia più attenta, maggiore cura ai dettagli da parte degli attori, la scelta di musiche che non pretendano di coprire la vacuità di alcuni dialoghi, insomma un po’ di teatro sul serio, diremmo, di quello che ti fa emozionare e non si occupa di dare colpe al mondo da un lato e di recuperi stile “non sono cattivo mi disegnano così” dall’altro. Ci vuole denuncia, si dirà. Ma noi siam banali. Guardiamo ai contenuti.
Autore ed interprete è Massimo Corvo, bravissimo doppiatore, che non ci è sembrato proprio a suo agio nei panni del personaggio – del quale doveva conoscere tutti i risvolti, essendo l’autore del testo. Annabella Calabrese è la rapita (la Belva?) della quale ricorderemo la “esse”. Daniele Esposito il regista.
Una chicca, anzi due: la rapita alla quale “La Bestia” rompe un braccio durante una colluttazione e che qualche minuto dopo, dovendo alzarsi per chiedere al suo carceriere di trovarle una stecca di legno per mantenerle il braccio rigido, utilizza proprio il braccio rotto come appoggio: senza un grido.
Il siparietto finale con morale inclusa. Non se ne vedevano dai tempi della parrocchia. E son passati lustri.
Lo spettacolo è in scena al Teatro dell’Orologio di Roma fino al 27 ottobre.
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