Bo Summer’s, “Un po’ di febbre”, la poesia “medicinale” di Sandro Penna & “svarioni varii”

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Immagine mostra. Umberto Saba. La poesia di una vitadi Bo Summer’s  twitter@fabiogalli61

“Certo, vien fatto di pensare che la miracolosa perfezione di certe sue cose, la vergine rivelazione di certi suoi versi, che, la prima volta, ci fecero pensare addirittura al giovinetto Rimbaud, i limiti stessi di quel suo affettuoso e trasparente mondo poetico non comportino svolgimenti e arricchimenti di sorta. Penna è quello che è: un dono da prendersi o lasciarsi, come le cose della natura”. Parole di Sergio Solmi, scritte nel ’39.

“Poeta d’amore” si definì, polemicamente. E poeta orgoglioso del suo eros finocchio dichiarando con Satie: “Io non sono omosessuale, sono pederasta”. Non che i tempi, allora, fossero, più facili, e definirsi pedé non era certo cosa di poco conto. In Italia, poi. Già allora pedarasta era sinonimo di pedofilo. L’omosessuale concupiva i bimbi. Già allora. Non che fosse più facile. Oggi sembra tutto più semplice, perché “le cose cambiano” con Carlo Gabardini che ci rappresenta orgogliosamente ai nostri orgogliosi Pride, che è una vita che ci mettiamo la faccia e le chiappe per farli, e che noi siamo stati il carrozzone di Carnevale e tutte quelle robe qui.. e vabbé. [primo svarione]

Una parsimoniosa produzione poetica, la sua, edita poi in unico volume da Garzanti e affiancata da scrittura di novelle, raccolte, anch’esse in parte, sotto il titolo Un po’ di febbre sempre da Garzanti. Poesia caratterizzata da sentenze e massime morali, vero e proprio gioco, continuo osare per cui di fatto si nega l’epigramma con l’epigramma, la sentenziosità con la sentenza.

Non è offensivo dire che la felicità poetica di Penna non ogni volta raggiunga altrettanta pienezza: spesso non va oltre i primi versi [“attacchi” memorabili], come se il botto iniziale a lungo accumulato esaurisse in quel primo contraccolpo tutta la sua carica. Ho imparato molto da questo. Perché questi son proprio i difetti, i rischi, connaturati al dono poetico, e  non eliminabili ma quel dono, in tempi come i nostri, appare più che mai prezioso.

Ma come si potrebbe definire Sandro Penna? Una tra le voci maggiori del ’900 [Pasolini], un piccolo miracolo [Saba], un alessandrino, un poeta della Palatina? … oppure considerarlo un emulo di Saffo, di Alceo, di Anacreonte? Un personaggio di Durrell, forse?…

Risposte davvero infinite. Fu poeta libero, questo sì, colto, uno nomade dell’eros a proprio agio in un mondo senza storia. Nella solitudine assoluta del suo comodino stracolmo di medicine. Di rimedi chimici alla sue malattie vere e presunte. Un eremita. Un brontolone. Un rompipalle notturno che chiamava il designato di turno per dirgli che stava male. Un solitario, a caccia di corpi. Con un senso di mancanza.

Una mancanza. Così come lo è questo nostro vivere odierno: il nulla assoluto, lo svuotamento senza memoria, soltanto presenze per postura, ammiccamenti, per un esserci poiché così si deve fare, altrimenti non si è. Cioè non si è ghei se non si fa l’outing, che pure a me l’hanno detto di farlo che son ghei da quando avevo i miei bei 15/16 anni e già a 18 me ne andavo a battere da tempo sulla Fiera, fiero già allora.. Ci si appalesa, oggi, si esce dall’armadio [che già lo cantava Lou Reed ‘sto fatto di saltar fuori dall’armadio, ma lo cantava negli anni ’70] e da quel momento si diventa il mito da imitare scrittori e militanti, vestali del Mieli o Arcicula perché così deve essere, perché “io so dire e fare e brigare e voi no. E scrivo su questa e quella testata e quindi ciò che dico assume carattere di verità [vanità] e decido io perché dell’arci sono”. Sarà che io sono un antico, forse più barbaro che greco, e allora vi dico che un Penna può e deve ritornare anche oggi, senza mediazioni e compromessi, nelle nostre letture e nei nostri qua-qua di opinionliderghei dell’ultim’ora che a me, personalmente, mi pare si vogliano mettere la cravatta del civile, con le civilnozze che sembra l’unica cosa che c’han nel cuore. E ho scritto cuore per non scrivere di peggio. [secondo svarione]

Un “istintivo”, un primitivo, formatosi alla scuola della vita più che alle altre, ebbe una certa diffidenza per ogni giudizio critico che cercasse, definendola, di storicizzare la sua arte. Seguitò a rimanere non intrigato, come per cosa che riguardi un altro, e diverso, da sé. Diffidente. Condusse per tutta la vita un’esistenza appartata, preferendo alle occasioni mondane la compagnia dei suoi “amorazzi”, e vivendo di lavori disparati, dalla “borsa nera” durante la guerra fino al commercio d’arte. Di tutti i suoi amori, quello più forte, quello più vero fu per la vita, non per l’immortalità, e ciò avviene per ogni eluso od illuso amatore.

Non volle certo lasciare ai posteri foscoliani monumenti o lunghissimi carmi, la sua poesia non è che il diario quasi monotematico di un amore per alcuni aspetti del reale, ripetuto in infinite varianti, in una coazione a ripetere, un loop che è fonte di continuo e ripetuto godimento, insopprimibile anche nel dolore, “ma Sandro Penna è intriso di una strana gioia di vivere anche nel dolore”.

L’istintività non si limita al campo della cultura, ma investe la ragione stessa del suo poetare: è il poeta della vita libera dei sensi, di qua dalla riflessione, dal razionale, e, quindi dalla storia. Che non è di certa questa nostra miseranda storia che ci vuole incasellati in civilnozze di serie B, nell’irrigidimento delle nostre affettività vicino il più possibile a ciò che è civiltà, o un’idea di tale. Inquadramento. [terzo svarione]

Mirabile, come, con una tematica così circoscritta, entro un orizzonte necessariamente limitato, trovi sempre nuovi incentivi e nuove modulazioni. Ritmo, a volte addirittura sincopato, e insieme filato come un respiro: diventa un fatto di natura, pur essendo sempre elaboratissimo e vigilatissimo nella tecnica e nella sintassi, nella metrica e nella parola. E tutto ciò giova a caratterizzarlo perché quella fedeltà ai modi epigrammatici altro non significa che, nel suo mondo poetico, non c’è stato nessun profondo sviluppo.

Io tifo ancora per quel vitalismo alimentato da una gioia dei sensi ebbra, seppure ombrata di malinconia. Un impressionismo che riesce a contenere la propria estuante sensualità nel giro di pochi versi, nel pregnante nitore di sperma dove il rapporto parola-colore si esala in vaghezza musicale. Ecco, questo ancora vorrei. Amici miei ghei. Ma che ve lo scrivo a fare.
Voglio tornare ad essere ancora il “fiero pasto” di troppe pruderìes, fonte spesso di incomprensioni feroci di tanto debole maschilismo o di dolciastre adesioni, puramente tematiche ma spesso altrettanto incomprensive. [quarto svarione]

A me della sessualità altrui, ben poco interessa, non è questo il punto: ognuno sia nel suo talamo Sovrano, rispettoso nel rispetto. E comunque, anche se di fanciullo non si trattasse, dai versi del sensuale immoralista promanerebbe, quasi feroce, l’insopprimibile istintività dell’amore. Ciò nonostante, non ci si può esimere dal rilevare che il vocabolo-chiave è “ragazzo” nelle diverse accezioni, spesso in quella dispregiativa ma non priva di segreta gratitudine, di “ragazzaccio”. Il ragazzo è la forma, il corpo presente e pulsante dell’amore carnale ed è, di volta in volta, fanciullo, operaio, garzone di fornaio, cameriere, giovanotto, giovin signore, barbiere, ciclista, caldo animale, bestia da monta… è tutto questo che impaura il perbenismo becero: la nostra sessualità e non la nostra affettività. Ecco cosa temono. Le nostre erezioni, non questa insegnata dei matrimonii. È parvenza, fumo negli occhi. Non è questo il punto. Io voglio vivere la mia sessualità a prescindere da un matrimonio o no. [quinto svarione]

Il “tempo” di Penna non è storico, ma biografico: è l’alternarsi dei mattini, delle notti, delle primavere e delle estati perché le uniche storie accettate sono storie d’amore. Un vigoroso fuoriclasse. Originalità espressiva e molteplicità di riferimenti che suggerisce appena in una sorta d’autoironia erudita che volutamente dissacra ogni possibile ascendenza culturale. Essa evidenzia una grandissima libertà di formule e soluzioni, un gioco a volte parossistico, a volte rischioso, di rime, allitterazioni, assonanze. Un gioco molteplice, allusivo, presenza di spirito e contemporaneità che, col cavolo!, oggi leggo in tutti questi balbettanti ragazzoni che devono metter su famiglia. Voglio riconosciuti i miei affetti, io, voglio scopare con chi mi pare senza dover dire “vedete che mi marito? Che metto su famiglia? Son buono quanto voi? Lo vedete?” io non voglio una legge che mi accomuni a queste cose.. questa non è la rivoluzione, no. [sesto svarione]

Ripetizioni, endecasillabi, ottonarii, versi sciolti, ora aspri e trascurati, ora quasi stucchevolmente musicali, a volte consonanti con l’esasperazione di alcuni toni che qualcuno definì sgradevoli e smancerosi. Lontano da Kavafis anni luce, bizantino decadente e non alessandrino, anche se si è voluto vedere in lui la storia come “maschera”. Grazia espressiva che rende puro e leggero ogni suo estro, anche quelli insorgenti dal fondo più torbido della sua sensualità, quelle raffigurazioni – così insistite da assumere valore di simbolo – di marinai, operai e soprattutto ragazzi, messaggeri di un mondo restituito alla libertà degli istinti, e per di qua, ancor esso, dalla razionalità e dalla storia, con esiti che, anche se spesso non vanno oltre la notazione frammentaria, sono felici. Una libertà di istinti, estinta, oggi. Paurosamente accantonata. Debolmente affievolita da richieste civili. Ma io voglio essere ancora incivile. Voglio che mi venga ridata la mia sessualità. Questa devono temere. Arco e freccia pronta a colpire laddove il sociale e il civile non mi corrispondono. Per nulla. Rivoglio la mia realtà e la voglio poter vivere come voglio. Non questa parrocchietta del buonismo matrimoniale. [settimo svarione]

E la città è spesso nemica, piovosa o buia come nella pittura di Sironi, mentre i paesaggi solari richiamano a volte Carrà o Rosai. I colori si accompagnano ai sensi, e ai sensi si accompagnano agli odori. Il tutto fuso in una forma stilistica talmente sconvolta e affascinante nella sua ingenuità, da far dimenticare ogni colpa letteraria o culturale. Per Sandro Penna, il sesso è il tema dominante, calda e animale fisicità, sensualità data a priori, è il centro della vita, connessa prepotentemente al gioco dei mattini torpidi e delle sere inquiete, dei pomeriggi in cui anche la malattia rinfresca ricordi non rimossi.

Il sesso è onnipresente nelle delicate poesie di Penna. Ai critici che, pur trovando di grande valore artistico la sua opera, giudicavano “sconveniente” la sua insistenza sul tema del sesso omosessuale, Penna ribatté con versi di sfida: “Il problema sessuale / prende tutta la mia vita. / Sarà un bene o sarà un male/ mi domando ad ogni uscita”.

Le stagioni, il tempo, le esperienze, sono circoscritte da direzioni infinite entro le quali si muove la sua poesia e il movimento vitale dell’amore. Il movimento è ricerca continua e nomade di ogni possibilità di osare, di amare. Il sentimento del battere, che ogni omosessuale ben conosce. Anche se oggi si finge di no. Ma la nostra sessualità è questo. Siamo liberi. Non dobbiamo incasellarci. Rivoglio tutti i vecchi simboli del Movimento, rivoglio la libera sessualità, il poterla vivere senza essere aggredito o dovermi conformare ad un pensiero etero che mai non è stato il pensiero omosessuale. [ottavo svarione]

L’influenza di Penna sui giovani omosessuali italiani dovrebbe essere  avvertibile in modo netto, al punto che non dovrebbe essere eccessivo poter parlare di un suo influsso “formatore” sulla pensiero gay italiano contemporaneo. Ma non è così, in questa italietta da poco. Fatta ancora oggi di restrizioni matrimoniali e nessun mutamento reale.

Vita e sensualità, sessualità e peccato sono una sola cosa per questo popolino dell’italico pensare odierno: “Forse la giovinezza è solo questo / perenne amare i sensi e non pentirsi”. E il rischio della propria visibile libertà è l’inevitabile conseguenza della necessità di “osare”, osare l’amore, la propria sessualità a qualsiasi costo. Senza compromessi: “Amore, amore / lieto disonore”. [ho perso il conto degli svarioni]

so che avrete da ridire, lo so, questo è il mio Sandro Penna, attualizzato, saluti, Bo.

 

 

 

 

 

(18 giugno 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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