Roma Fringe Festival, dell’egopatia del Singolo e di troppi Kafka #Visti per voi

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Roma Fringe Festival - Daniele Coscarelladi E.T. twitter@iiiiiTiiiii

Arriviamo un po’ trafelati, ci duole il piede sinistro, e veniamo subito catapultati nell’atmosfera festosa del Roma Fringe Festival. C’è un sacco di gente, ed è molto bello vedere come una manifestazione estiva di questo livello (la manifestazione è di eccellente livello, i singoli spettacoli sono per l’appunto singoli spettacoli) richiami pubblico in numero visibilmente crescente sera dopo sera. E’ il momento de La Compagnia dei Masnadieri (foto in basso).

Ci tocca un Kafka. Ho un’avversione tutta personale per le riduzioni teatrali dei testi di Kafka, ed è un’avversione giusitificata dal fatto che nel mio più che trentennale peregrinare nel mondo del teatro ne ho viste di tutti i colori, ho visto almeno dieci Metamorfosi, tutte orribili, in più intervenire sui testi di un autore che ha scritto in modo perfetto tutto ciò che ha scritto mi sembra uno scempio inutile. Dal punto di vista letterario Kafka è intoccabile.

Ho la brutta sensazione che mi annoierò, ma mi dico pazienza e vediamo che succede. Così che succede: i primi trenta secondo di spettacolo dominati dai movimenti lentissimi dell’attrice e dell’attore in scena mi fanno pensare ad una sperimentazione di sapore quasi buto, che sarebbe rivoluzionaria, ma il sogno svanisce dopo trenta secondi e paf! si sprofonda nella noia. Un testo inconsistente, Il Castello di K. irraggiungibile come certe vette che si vorrebbero solcare senza mezzi, un amore che sboccia improvvisamente senza giustificazioni né drammaturgiche né registiche, gli attori che hanno regimi stilistici uno diverso dall’altro, che bisogna pur distinguersi. Una noia mortale.

Il regista ha poi la buona idea di far entrare quattro personaggi con maschera, peccato che nessuno dei quattro abbia la pur che minima idea di cosa sia l’utilizzo di una maschera: che nessuno di loro sappia che gli occhi non si abbassano sotto la maschera, sennò il personaggio dorme, che nessuno di loro sappia che è la maschera a dirigersi al pubblico, che un attore che abbassa la testa mentre indossa una maschera “scompare” perché non se ne vede che la sommità del capo, e potremmo continuare all’infinito citando i personaggi della commedia dell’arte cui il regista pare essersi ispirato e dire che di quei personaggi non è rimasto nulla.

Ma ci limiteremo a sottolineare la bellezza dei costumi unitamente al fatto che se il regista non ha idea di ciò che sta facendo è complicato fare di questo mestiere che tanto amiamo qualcosa che anche un pubblico più vasto, che vada al di là degli amici degli attori, possa apprezzare.

E vincere un contest grazie agli eventuali voti degli amici…

Comunque lo spettacolo finisce e buon pro vi faccia.Roma Fringe Festival - Il Castello di K

Ci spostiamo, continua a dolerci il piede sinistro, per arrivare alla rappresentazione di “Singolo” di e con Daniele Coscarella (foto in alto). Non siamo di fronte ad uno spettacolo che cambierà la storia del Fringe romano, non che si pretenda, ma l’inizio lascia ben sperare, c’è un carrello da supermercato che l’attore muove di qua e di là: è pieno di cose.

Poi lo spettacolo si rivela per quello che è: un testo sempliciotto e buonista sull’inutilità di tutto ciò che ci circonda, sulla solitudine del bacello prima della fioritura del pesco sulle colline romane nell’alto medioevo, sul social network come cancro sociale, sulla filosofia da parrucchiera sulla composizione dello shampoo, sulla straziante disperazione dell’ikebana, sulla patata nella frittata nel panino del nonno (ci si sofferma sulla parola patata trenta volte, quasi a suggerire qualcosa, ma c’è assai poco da suggerire) del non va bene niente, ma non importa nemmeno che vada bene così lo posso contestare sul palco, due o tre frasi ad effetto, per finire con una tirata alla Michela Brambilla sulle fortune del cane e sulle sue libertà, come quella di giocare con altri cani, rotolarsi con altri cani, annusarsi con altri cani, fare l’amore con altri cani per poi finire sterilizzato e quindi diventare (il cane) gay.

Quella del gay diventa poi un’ossessione per l’autore-attore che grida in alcuni momenti “Papà sono gay”, e quindi “Papà sono diventato [sic] gay”, in modo del tutto decontestualizzato. Dopo di ciò Coscarella continua con il suo pianto personale con frasi ad effetto come “Siamo sempre gli stessi solo che prima eravamo persone… e adesso siamo singoli” oppure “La teconologia ci ha trasformato in profili in rete…”.

Coscarella non è una grande attore né un grande autore e proprio questo potrebbe garantirgli un certo successo, perché è sempre il successo che si cerca come se servisse, ma questo “Singolo”, si dimentica di dirlo.

Dopo l‘Ite Missa Est, decidiamo, io e l’amico di Teatro.it, di andare a parlare con l’autore-attore chiedendogli da dove gli fosse uscita l’infelice idea di paragonare la sterilizzazione con l’omosessualità: il Signore è visibilmente alterato perché i clienti del bar del Fringe avevano rumoreggiato (davvero troppo) durante la sua esibizione ed aveva appena sfuriato con l’organizzazione pretendo giustamente rispetto per la sua esibizione, perché il rispetto va preteso, poi se non lo diamo è lo stesso.

La sera precedente, durante lo spettacolo “84 gradini” i clienti di cui sopra avevano rumoreggiato anche di più, e nessuno ha fiatato, ma torniamo a Coscarella.

Alle nostre domande precise e garbate si inalbera, non è in grado di rispondere, dice che ci siamo sbagliati, dice tutto ed il contrario di tutto, ci comunica che lui di pirsona e pirsonalmente conosce uomini che sono “diventati gay” – gli ricordiamo che lo erano sempre stati, hanno solo deciso di confessarselo quando sono stati in grado di farlo ma non sa dire come mai ha accostato la sterilizzazione con i gay.

Dice che era un’immagine ironica, o qualcosa di simile, gli ricordiamo qualcosa sulla semantica e su Farinelli, ma no hay mucho clima, poi si scusa, non ce n’era bisogno, noi volevamo parlare dell’infelice testo dello spettacolo non ricevere delle scuse, a noi non ha fatto nulla di personale.

Così che andiamo verso casa – continua a dolerci fortemente il piede sinistro – perché l’ultimo spettacolo al quale come giurati dovevamo assistere “E poi quella sera, sarà stato il ’72” è saltato causa l’infortunio di una delle attrici. Peccato.

 

 

 

 

 

 

 

(11 giugno 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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