L’Occhio di Alessandro Paesano, The Voice of Italy: Cristina Scuccia in arte suora

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Raffaella  Carrà 01di Alessandro Paesano

Ha vinto ‘a sora.

Questo il mio laconico commento alla notizia della vittoria di Suor Cristina alla seconda edizione di The Voice of Italy.
Un risultato prevedibile e anche imbarazzante (soprattutto per la Universal Music Italia che si ritrova sul groppone un contratto discografico di una cantante che non ha mercato alcuno).

Stampa e rete hanno imperversato nei commenti a caldo che, si sa, fanno dire sciocchezze, come a Selvaggia Lucarelli che, su Libero, scrive che in Suor Cristina ha visto la risposta italiana a Conchita Wurst, oppure, viceversa, tutti i commenti di chi deduce che il pubblico italiano se vota ‘a sora è necessariamente cattolico.

Lascio a questa sociologia della domenica interpretare i come e i perché di questo voto.

Io vorrei invece ragionare sul simbolo che suor Cristina in quanto sora rappresenta oggi, nella società e agli occhi di un pubblico moderno (cioè privo di cultura e di senso storico) come quello italiano.

La reazione dei e delle coach di The Voice alle Blinde Audition dove Suor Cristina compare per la prima volta è sintomatica per il discorso che voglio fare.

Raffaella Carrà si meraviglia e poi si risente che una suora stia là.
Un sentimento di meraviglia misto a riprovazione che esprime con un’espressione del viso senza censure. Ma che vergogna che questa suora stia qua.

Raffa ha ragione da vendere. Suor Cristina

Chi sceglie di vestire i panni della suora è una donna che rinuncia alla mondanità, il fatto che, da suora, sia su un palco di musica pop, in un programma tv che le chiede di cantare culo a culo con Kyle Minogue è come minimo contraddittorio.

Mentre quel genio della comunicazione che è Papa Francesco non può che gongolare all’idea della sua partecipazione, l’imperatore Palpatine alias Papa Ratzi avrebbe fulminato Suor Cristina con un raggio laser scaturito direttamente dal suo sguardo giurassico.

J. Axe invece si commuove e piange.
Perché piange?
Perché vede in suor Cristina una che, nonostante sia suora, sa cantare e sa stare sul palco.
Ci vede una emarginata che ce l’ha fatta.

Non è la prima volta che succede ai talent.

Come dimenticarsi dei Kymera (al secolo Simone Giglio e Davide Dugros) coppia di ragazzi sul palco e nella vita (oggi non più né l’uno né l’altro) di X Factor 4 (2010) o, sempre nella stessa edizione, il cantante balbuziente Stefano Filipponi?

La gente si commuove nel vedere chi, pur non avendo le carte in regola per essere un personaggio famoso e di successo, riesce in qualche modo a farcela lo stesso, alimentando nel pubblico quel sentimentalismo pernicioso, istillato da programmi à la Maria De Filippi, che se hai talento quello emerge nonostante tutto: niente studio, niente gavetta, solo la fortuna di essere baciati e baciate dal talento, come se Mina fosse Mina solo perché canta bene

Ed ecco che l’eco di Suor Cristina Scuccia arriva all’estero, Stati Uniti, Spagna, Francia, tutto il mondo occidentale (si fa per dire) parla della suora che canta, come parlassero di una paralitica, di una ragazza che vive nel polmone d’acciaio, come se, insomma, esser suora sia una condizione invalidante di per sé come lo sono la balbuzie e, evidentemente, per certo pubblico, anche l’omosessualità.

Non ci si chiede mai dei motivi che portano una donna a diventare suora.

Anzi ci si dimentica proprio che suore si diventa e non si nasce.

Senza voler improvvisare psicologismi da rotocalco, simbolicamente parlando è innegabile che una suora è una donna che si sottrae al dover essere del mondo occidentale:
al dover essere bella, sessualmente appetibile, vestendo abiti scollati e costosi, truccata in un certo modo, con un certo copro e una certa sessualità.
Chi si fa suora insomma si sottrae a una serie di regole dell’immagine (e dell’immaginario) che la costringerebbero a indossare un mascherone maschilista e misogino che i truccatori i visagisti gli stilisti i pubblicitari, tutti maschili(sti) anche quando sono donne, costringono, umiliano, sminuiscono la donna, le donne.

Certo oggi non c’è più solo l’opzione suora come una volta.

Ma quando la donna non aveva diritto di voto (non tantissimo tempo fa, prima del 1946) quando padri fratelli e fidanzati decidevano per loro per molte donne l’unica via possibile per l’autodeterminazione era la via religiosa, era la vita da suora che ti permetteva di vivere senza marito, senza figli, senza tanti uomini introno che magari ti toccavano, ti concupivano, oppure, semplicemente ti trattavano come una proprietà sua.

Oggi, a digiuno di storia come siamo complici la tv berlusconiania (e craxiana prima di lui) non ci ricordiamo più che l’abito da suora di Suor Cristina è un grido disperato di aiuto di una giovane ragazza che non ce la fa a seguire gli standard di un certo femminile pensato a uso e consumo esclusivo del maschietto medio e pensiamo che Cristina Scuccia sia nata suora come Stefano è nato balbuziente come Simone e Davide sono nati gay, cioè menomati, deprivati di quella normalità che fa ringalluzzire un pubblico che nel vedere e nell’incensare il e la freak ottiene un doppio beneficio: confermare la propria assoluta normalità (cioè regolarità, diritto di essere) e la magnanimità di chi dall’alveo di questa normalità presunta e millantata la concede d’ufficio anche a chi non ne avrebbe diritto.

Il maschilismo e la misoginia imperanti snidano le donne anche nelle congregazioni religiose e prima costringono Cristina Scuccia a diventare suora e poi la chiamano a cantare lo stesso.

Di quel corpo non più suo ma di Cristo, di quel velo che non leggiamo come tale, lasciando le critiche xenofobe solo a quello di altre religioni e altre culture, non ci curiamo.

Per il pubblico di The Voice of Italy una suora è solo uno strano animale non il risultato di una pressione sociale esterna e della ferocia maschile di una Chiesa che considera le donne inferiori agli uomini tanto da non concedere loro privilegio di messa né l’lezione del Papa, che rimane a suffragio maschile (nel Vaticano il 1946 non è mai arrivato…).

Un pubblico grato della normalità (evidentemente precaria se se ne cercano continue conferme) che Suor Cristina, con la sua alterità, conferma, e grato che suor Cristina lo faccia sentire buono perché, davanti alla suora che canta, l’Italia si commuove e la vota.

Ma che bella la democrazia che ci fa votare la freak e la fa vincere pure!

Non so immaginare qualcosa di più fascista.
 

 

 

 

 

 

 

 

(11 giugno 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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