Nel quadro complesso della poesia italiana del tardo Novecento e dell’inizio del nuovo millennio, Fabio Galli rappresenta una figura singolare e appartata, ma non marginale: un autore la cui voce si è mantenuta fedele a un dettato lirico e critico intransigente, refrattario alle mode editoriali e alle dinamiche di visibilità imposte dal sistema letterario contemporaneo. La sua traiettoria, che si dipana tra versante creativo e riflessione saggistica, attraversa alcune delle stagioni più significative della poesia italiana, collocandosi in una posizione laterale ma lucida, spesso in aperto contrasto con la semplificazione stilistica e ideologica che ha segnato molti sviluppi della lirica italiana degli ultimi decenni.
Poeta, critico e saggista, Galli ha svolto per un lungo periodo l’attività di redattore presso la rivista “Poesia”, fondata e diretta da Nicola Crocetti, che a partire dal 1988 si è imposta come una delle più autorevoli e longeve riviste letterarie italiane dedicate alla poesia. La sua esperienza redazionale, oltre a inserirlo in una rete significativa di relazioni intellettuali e artistiche, ha contribuito a definire il suo sguardo critico, teso a interrogare il rapporto tra la parola poetica e i grandi nodi dell’esperienza contemporanea: il tempo, la memoria, la soggettività, l’incompiutezza della verità, la metamorfosi del desiderio.
L’attività letteraria di Galli prende avvio nella seconda metà degli anni Ottanta, con una serie di pubblicazioni che già mostrano la tensione costante tra rigore formale e apertura all’ibridazione linguistica. Tra le opere più rappresentative di questa prima stagione si segnala “Impura” (Edizioni Tracce, collana “I campi magnetici”, 1986), raccolta fortemente segnata da un’estetica dell’inquietudine, nella quale la lingua poetica diventa strumento per esplorare le zone ambigue, dolorose e talvolta perturbanti della psiche. Non si tratta semplicemente di un esercizio stilistico o di una declinazione dell’“oscuro” novecentesco, ma di una vera e propria discesa nell’alterità dell’io, condotta attraverso l’uso insistito di immagini stranianti, rotture sintattiche, dislocazioni del soggetto.
A questa fase appartiene anche “Melancholia” (Edizioni L’Obliquo, 1992), operazione poetica che si situa al confine tra traduzione e riscrittura, nella quale Galli rivisita – senza intento filologico – alcune liriche di Paul Verlaine, reinventandole in una lingua propria, interiorizzata, quasi distillata, che restituisce al lettore un’immagine dolorosa e insieme luminosa della malinconia come condizione permanente della soggettività lirica.
Con “Caròla” (Crocetti Editore, 1992), Galli approda a una piena maturità espressiva. La raccolta, accolta con favore dalla critica, segna un momento di svolta nella sua poetica: alla dimensione interiore si affianca una maggiore apertura al paesaggio storico e affettivo, una capacità di evocare attraverso il frammento lirico interi scenari esistenziali. La lingua, pur rimanendo densa e sorvegliata, si fa più trasparente, come se il poeta cercasse un equilibrio instabile ma necessario tra chiarezza comunicativa e fedeltà all’enigma dell’essere. Seguiranno “Balli e Canti” (Edizioni Pulcinoelefante, 1993), esempio di contaminazione tra parola e gesto tipografico, e “Prima, nella storia, ancora” (Bandecchi & Vivaldi, 1995), in cui l’indagine poetica si sposta verso il tempo storico e il rapporto tra soggettività e narrazione collettiva. Anche in questi testi la poesia si configura come un attraversamento della perdita, una forma di resistenza al silenzio e all’oblio.
Parallelamente alla sua attività poetica, Galli ha sviluppato un originale percorso critico, contraddistinto da un approccio mai accademico, ma sempre sorretto da una profonda tensione analitica e da un’empatia viscerale con i testi studiati. Di particolare rilievo è il saggio “Di una lettura di The Waste Land”, apparso inizialmente sul numero monografico di “Post Scriptum” (aprile 1988), e in seguito ripubblicato sul quotidiano online Gaiaitalia.com. In questo contributo, Galli offre una lettura non canonica del capolavoro di Eliot, evidenziandone le stratificazioni simboliche, le fratture formali, le derive psichiche. Il poema eliotiano è visto come una mappa disarticolata del trauma, una sequenza di relitti linguistici e mitologici attraverso cui il soggetto tenta – fallendo – di ricomporsi. L’interpretazione di Galli, impregnata di riferimenti psicoanalitici e strutturalisti, mostra una finezza ermeneutica che non rinuncia mai alla dimensione affettiva della lettura.
Nel corso della sua carriera, Galli ha pubblicato testi poetici sotto diversi pseudonimi, mantenendo così una postura volutamente defilata rispetto alla scena poetica ufficiale. I suoi versi sono apparsi su riviste di rilievo quali “Alfabeta” – dove fu presentato da Antonio Porta, figura cardine della neoavanguardia italiana – “Tracce”, “Via Lattea”, “Offerta Speciale” e soprattutto “Poesia”, che lo ha incluso anche nella celebre sezione “I poeti di trent’anni” curata da Milo De Angelis, altra voce decisiva per la poesia degli ultimi decenni. È presente in antologie significative come “Trame della parola. La nuova poesia degli anni ’80”, a cura di Antonio Spagnuolo (Edizioni Tracce, 1985), e “A Marino per Moretti” (Casa Moretti, 2000), entrambe orientate a documentare le linee di forza e di rottura della poesia italiana più recente.
Non meno rilevante è la sua esperienza come direttore responsabile della rivista “Mix. Viaggiare attraverso altre culture” (C&A Edizioni, Monza), da lui guidata a metà degli anni Novanta. “Mix” nasce con l’intento di esplorare il concetto di intercultura in senso radicale, al di là dei cliché dell’integrazione o del folklore. Galli promuove in questa sede un’idea di scrittura come viaggio, attraversamento, metamorfosi. L’identità, lungi dall’essere un’entità fissa e riconoscibile, è vista come un dispositivo in movimento, aperto al confronto con l’altro, con l’altrove, con il differente. Questa visione, profondamente etica prima ancora che estetica, attraversa anche la sua produzione poetica, nella quale si avverte costante il senso di una mancanza originaria, di un’origine smarrita, ma anche di un’energia inquieta che spinge verso l’alterità come promessa.
A partire dal 2000, tuttavia, si registra un progressivo disinteresse da parte dell’editoria cartacea nei confronti dell’opera di Galli. Nonostante vari tentativi di riproporsi con nuove raccolte, nessun editore ha mostrato disponibilità a pubblicare i suoi lavori più recenti. Questa esclusione, che può apparire come un’esclusione silenziosa, rivela in realtà un dato strutturale: l’editoria italiana, sempre più orientata verso criteri di mercato, sembra non sapere più accogliere le voci che, come quella di Galli, continuano a interrogare radicalmente il senso stesso della scrittura, la sua necessità, il suo rischio. Ciò non implica un silenzio creativo: al contrario, l’opera di Galli continua a svilupparsi in forme nuove e spesso invisibili, pubblicando molti dei suoi testi di critica e saggistica con il quotidiano online Gaiaitalia.com, utilizzando spesso differenti nom de plume e mantenendo intatta la forza di una parola che non cede né alla semplificazione né alla resa.
La sua vicenda, letta in controluce, offre uno specchio esemplare della difficoltà, oggi, di sostenere un discorso poetico autenticamente critico e profondamente individuale. Ma è proprio questa fedeltà alla solitudine e alla ricerca che fa della sua opera un territorio ancora da esplorare, un arcipelago nascosto della letteratura italiana contemporanea, destinato forse – come accade spesso – a trovare un riconoscimento più tardi, in una stagione futura meno condizionata dall’effimero.
(26 maggio 2025)
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