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Pasolini alla Maturità 2025, il ritorno del ragazzo in una stanza

di Bo Summer’s

Nel 2025 Pier Paolo Pasolini entra per la prima volta tra le tracce ufficiali dell’Esame di Stato con un testo poetico inedito per i maturandi: una delle sue liriche giovanili, “Appendice I”, tratta dal Diario 1943‑44, pubblicato postumo. A cinquant’anni esatti dalla sua morte violenta e ancora irrisolta all’Idroscalo di Ostia, il ministero dell’Istruzione ha scelto di celebrare l’intellettuale friulano con una poesia che porta lo studente in una dimensione diversa da quella, più nota, del polemista televisivo, del regista scandaloso, del poeta corsaro. Qui Pasolini è ancora ragazzo, e nella poesia il ragazzo si aggira in una stanza immutata, mentre il tempo lo ha fatto diventare uomo. Un tempo che è guerra, esilio, perdita. Ma anche iniziazione alla parola.

Il testo scelto – mai usato prima per una prova d’esame – è breve, denso, dolcemente spietato. La stanza, la luna, la madre che dorme, il silenzio: sono elementi di un paesaggio apparentemente immobile che invece grida mutamento. Non è solo il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta: è la frattura tra due coscienze. Il ragazzo è stato “ucciso” dal tempo, il tempo che “annotta da millenni”, e ciò che resta è uno scarto, una mancanza, un dolore difficile da nominare se non nella forma del verso.

Già in questa lirica si affaccia quello che sarà il cuore della poesia pasoliniana: l’irriducibile scontro tra un’innocenza perduta e una realtà presente che non riesce a redimerla. Il cuore “che ora non batte più” non è morto per davvero, ma si è trasformato in un organo dell’adulto, dell’ideologia, dell’esperienza. La luna che “all’improvviso” appare per “ricantare la campagna” ha il suono di un mondo arcaico che cerca ancora di imporsi sulla rovina. Ma Pasolini, anche se giovane, sa già che questa voce è destinata a farsi flebile. E forse è proprio questa coscienza precoce – la consapevolezza del proprio trauma come condizione dell’arte – che giustifica la scelta del testo per la prova di maturità.

In un’epoca come la nostra, in cui ogni generazione si ritrova spaesata tra mutamenti climatici, guerre alle porte d’Europa e crisi identitarie collettive, far leggere a diciottenni un Pasolini di diciott’anni è gesto pedagogico e, insieme, politico. Non si tratta solo di avvicinare i giovani alla poesia, ma di invitarli a leggere il tempo, e a leggerlo dentro di sé. “Appendice I” è un esercizio di memoria non museale, ma vitale. È l’eco del trauma privato dentro una storia collettiva che ancora ci riguarda.

La traccia offerta agli studenti – tipologia A, analisi del testo poetico – chiedeva di interpretare la poesia cogliendo le sue metafore, i riferimenti autobiografici e l’orizzonte storico. In sottofondo, la figura della madre (presenza fondamentale nella produzione pasoliniana), la guerra appena accennata, e il paesaggio friulano. Ma ciò che davvero colpisce è la distanza che il poeta pone tra ciò che è stato e ciò che è. Una distanza che non si colma, ma si canta. Lo stile è già sorvegliato, pur nella semplicità: anastrofi, inversioni sintattiche, una punteggiatura quasi cinematografica. Non ci sono versi sciolti, ma un rigore che prelude al futuro autore delle Ceneri di Gramsci. In quella stanza immobile, Pasolini scopre di non poter tornare indietro, ma anche di dover scrivere proprio per questo.

C’è, in questa scelta ministeriale, una silenziosa ironia: mentre per anni si è temuto che Pasolini fosse troppo “divisivo”, scomodo o ideologico per l’Esame di Stato, lo si introduce oggi non con una pagina corsara, ma con un componimento lirico intimo, sommesso. Non il Pasolini delle polemiche televisive con Moravia, non quello del cinema dissidente, ma il giovane solitario, in punta di piedi. Eppure, proprio in questa mitezza c’è tutta la potenza della sua parola: il grido trattenuto, la nostalgia ferita, la coscienza incipiente. È un’educazione sentimentale in versi, che invita i giovani a interrogare sé stessi prima ancora che il mondo.

Non è un caso che la poesia parli di silenzio. Pasolini, che da adulto parlerà ovunque e con chiunque, qui tace. Osserva. Soppesa. Ma nel silenzio coglie il senso profondo della metamorfosi: “Mi guardo attorno: la mia stanza è sempre quella / la luna è alta fuori la finestra, la madre dorme / e il cuore ora non batte più, come allora”. Ecco: forse è questo che la scuola, almeno per una volta, chiede ai suoi ragazzi. Di ascoltare quel battito mancato. Di entrare nel tempo della poesia non come un esercizio scolastico, ma come una ferita che riguarda anche loro.

Con “Appendice I” Pasolini entra nella Maturità 2025 come un ragazzo che torna nella sua stanza e la trova uguale ma diversa. Come i maturandi, che si ritrovano al termine di un ciclo, con una finestra aperta sul buio e la luna che ancora ricanta la campagna. Che altro chiedere alla poesia, se non questo specchio? Un riflesso in cui riconoscere, almeno per un attimo, il mistero di essere stati ragazzi e di non esserlo più.

 

 

(19 giugno 2025)

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