Short Theatre 9 si accommiata con “L’Encyclopédie de la Parole”. Un bilancio e qualche polemica (altrui)

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EnceclopedieDeLaParole1_JLdi Alessandro Paesano twitter@ale_paesano

Suite n°1 “ABC” presenta all’incirca cinquanta estratti scelti tra le più di 800 registrazioni che L’Encyclopédie de la Parole  colleziona nel suo percorso di ricerca sul’oralità. Registrazioni eterogenee indicizzate secondo le loro particolari proprietà o fenomenologie, cadenza, coralità, saturazione e melodia, che spaziano dai discorsi fatti nei consigli d’amministrazione al video (su youtube) in cui un bambino cinese spiega come imparare il francese, restituite da 22 performer, 11 stabili della compagnia, più altri 11 ospiti residenti. La restituzione, corale e armonizzata, non è solo delle singole parole ma delle pause delle inflessioni e delle esitazioni dei documenti registrati riprodotti invitando il pubblico chiamato ad assistere alla performance a riflettere sulle modalità della nostra comunicazione orale e anche, sulla sovrabbondanza di comunicazione e sul’oculatezza con cui dovremmo comunicare al mondo immettendo una serie di discorsi che si innervano in un rumore bianco indistinto eterogeneo accomunato dalla stessa umanità dirompente che emerge in tutta al sua chiarezza anche quando non capiamo direttamente le lingue in cui il gruppo di 22 performer si cimenta. Il risultato, impeccabile dal punto di vista esecutorio, è molto interessante anche dal punto di vista della riflessione che un’operazione del genere consente al pubblico individuando una idea di teatro ben precisa.

Lo spettacolo di chiusura di questa ottava edizione di Short Theatre  (manca giusto la coda del 25) ci consente agevolmente di tirare qualche considerazione sulla qualità degli spettacoli presentati e sul’opportunità di Short Theatre, finanziato coi soldi pubblici, in riferimento anche alla polemica, inutile e superficiale, montata da Franco Cordelli sulle pagine del Corriere, il quale, vedendo uno spettacolo che non ha gradito (Marzo di Dwey Dell) senza peraltro spiegarci davvero il perché, ha messo in discussione l’opportunità del festival finanziato coi soldi nostri (e non certo suoi) indulgendo in una pratica censoria e tranchant che riduce tutto nei termini di un fare o non fare che troviamo francamente alieno da una pratica davvero democratica.

Compito di un Festival sul teatro contemporaneo è quello di mostrare quello che c’è sulla piazza, senza che la scelta degli spettacoli proposti debba necessariamente significare che tutti gli spettacoli piacciano al direttore artistico Fabrizio Arcuri. Altrimenti il festival non si chiamerebbe Short Theatre ma gli spettacoli che piacciono a… come forse Corbelli vorrebbe che i festival fossero solo con gli spettacoli che piacciono a lui (come se importasse  a qualcuno visto che non si degna nemmeno di spiegarci il perché).

Crediamo invece che Short Theatre costituisca ancora una preziosa e indispensabile occasione di tastare il polso alla produzione contemporanea italiana e confrontarla con quella europea (e non solo) regalando al pubblico della capitale un’occasione che altrimenti la provinciale Roma, capitale della provinciale Italia, raramente offre. Da un primo bilancio, sommario e soggettivo, e, soprattutto, al di là degli spettacoli che ci sono o non ci sono piaciuti, ci sembra di non sbagliare nell’indicare come, mentre nel teatro italiano tranne qualche eccezione notevole il teatro si attesti su un orizzonte in cui  la performance tutta sia incentrata sull’autorialità della messinscena e su un teatro autoreferenziale gli spettacoli d’oltralpe abbiano mostrato invece il mezzo teatrale possa essere ancora strumento di riflessione collettivo privo di quel narcisismo egotista che caratterizza la produzione italiana, pur nella molteplicità del teatro proposto e dell’effettiva riuscita dei singoli allestimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(15 settembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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