Teatri di Vetro 8, chiusura magnifica con Boato

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Teatri di Vetro - 05 Boatodi Alessandro Paesano  Twitter@Ale_Paesano

L’ottava edizione di Teatri di Vetro si è conclusa con lo spettacolo di Laura Boato On the Market articolato su tre diversi quadri che restituiscono da diversi punti di vista, critici artistici e performativi, i rapporti tra ricerca artistica e la possibilità di metterla in scena, una scena regolata dalle leggi di mercato.

Una tripartizione di quadri ognuno con un titolo specifico la cui progressione è a suo modo se non un manifesto una dichiarazione di estetica: Incarnation, Beauty e Art ripropongono diversamente declinati gli stessi interrogativi che Boato si è fatta sulla possibilità di incarnare uno sguardo nuovo restituendo al pubblico il suo percorso di ricerca in tre momenti diversi.

 

Incarnation (vincitore del concorso coreografico Oriente Occidente nel 2012 in seguito al quale la giuria le ha affidato la co-produzione degli altri due quadri) mette in scena il nuovo l’inaspettato, incarnati dalla presenza di una giovane performer, la quale appare dal nulla e interagisce con due presenze maschili e femminili che letteralmente la vestono dei loro abiti interagendo con lei in questo modo.
Con un lessico coreografico ridotto al minimo i cui movimenti sono più vicini a quelli del teatro danza che alla danza tout-court, pur rimanendo squisitamente di alto standard performativo, l’apparente immobilismo e minimalismo dei movimenti richiedendo la stesa precisione e bravura delle coreografie più movimentate.Teatri di Vetro - 04 Boato

Boato confronta le resistenze e le paure della creazione artistica con quelle biologiche di un maschile e femminile diversamente declinati sottolineando lo svilimento in entrambi gli ambiti della creazione a prodotto da vendere (o comperare): la nuova idea-danzante di nuovo vestita viene portata via in un carrello della spesa da super market, nel quale la nuova nata assume una posizione fetale.

Molte le suggestioni e le letture cui questo primo quadro è suscettibile che si confrontano tutte con la concreta problematicità della compravendita dell’arte e della creazione artistica.

 

Beauty (di)mostra la concreta possibilità di uno sguardo altro sulla bellezza (femminile) decostruendo con sottile ironia e con una simbolicità che allude a un oltre di squisita consuetudine femminile la (de)costruzione canonica della bellezza socialmente codificata. Un vaso cinese, una scarpa dal tacco altissimo, costellata di paillettes e il modellino giocattolo di una rossa automobile sono altrettante idee di bello che le tre performer de-strutturano sia attraverso l’allestimento di una rapporto del loro corpo con gli oggetti che portano (in mano, indosso, tra le dita dei piedi) sia attraverso il dialogo coreutico attraverso il quale le tre performer sottraggono i tre oggetti alla loro funzione d’uso ribadendo la centralità del corpo umano, che, in quanto vivo, sente conosce e dispone. E’ il copro che stabilisce priorità e simbolicità dell’oggetto laddove l’estetica del design consegna gli oggetti già idealizzati in un uso granitico nel quale il corpo umano da soggetto diventa oggetto d’uso. Una riscrittura del bello, del suo impiego come mezzo di produzione di senso, di significato e dunque di conoscenza, sganciato da ogni considerazione estetica precostituita e ricondotto all’uso, e al significato, che gli solo gli individui possono dargli.

Le tre performer si muovono in un corpo scena ectoplasmatico che le ingloba, le fagocita e le restituisce.
Moltissime le suggestioni anche per questo secondo quadro che intercetta la possibilità e l’esigenza di uno sguardo nuovo che decostruisca e crei, messo in scena di modo che lo sguardo del pubblico e quella della coreografa, o, se si preferisce, lo sguardo che vede e quello che si vede, occupino lo stesso centro, lo stesso movimento, quello dei corpi sulla scena.
Movimenti più articolati di quelli del quadro precedente ma ancora rinchiusi nella cifra altra di una scrittura coreutica che pone al centro lo sguardo sul corpo.Teatri di Vetro - 06 Boato

 

Art, il terzo quadro, indica con feroce urgenza le richieste ottuse e assurde di una mentalità semplificata verso le esigenze di mercato.

Art presenta una coreografia che vede una donna emergere da un complesso intrico di panneggi che dall’impiantito arrivano sino a lei fino a costituire un costume-vestito che costringe e sorregge la danzatrice mentre presenze altre si fanno vedere emergendo dal drappeggio (una mano, un piede). La coreografia viene smontata pezzo per pezzo, prima l’organico delle danzatrici, poi la scenografia-costume, poi il numero delle luci, poi le musiche e infine la presenza stessa dell’unica performer superstite, effetto dell’adeguarsi della coreografa alle richieste in lingua inglese di un produttore che mette in discussione ogni dettaglio progettuale della coreografia che il pubblico vede come in una prova ideale.Teatri di Vetro - 08 Boato
Fino a che punto possiamo accontentarci? Fino a che punto possiamo fare a meno di elementi importanti nella nostra creazione artistica in nome di una incontrovertibile esigenza economica?
Si torna così al focus di questo allestimento che riflette sulla mercificazione dell’esperienza estetica, della visione scenica, dove l’unico principio organizzatore è un banale, asfittico e reazionario principio del risparmio economico dal quale dobbiamo tutte e tutti trovare il modo di ribellarci e sottrarci.

 

Un allestimento splendido per il quale dobbiamo ringraziare Roberta Nicolai che lo ha voluto ad ogni costo a Teatri di Vetro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(25 settembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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