Festival del Film di Roma: Un “Eden” privo di sguardo sulle cose e sulla gente

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Roma Film Festival 2014 - Eden_01 petitdi Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

Eden di Mia Hansen-Løve (Francia, 2014), ancora inedito in Francia (a Parigi uscirà il prossimo 19 novembre) è un film-consacrazione sulla musica Garage (tipo House ma un po’ più Disco) così com’è stata ascoltata e prodotta e remixata nell’arco di un ventennio nei Rave e nelle boite di Parigi che l’ha rivestita di un proverbiale French Touch.
Il film segue le vicende alterne del giovane Paul, Dj che lascerà un segno in quel tipo di musica e di serate senza raggiungere mai un successo stabile come i Daft Punk (un nome famoso cui non corrisponde alcuna identità personale visto che il duo che li costituisce rimane puntualmente fuori da tutte le discoteche, mai presente in alcuna lista all’ingresso).

Eden, il cui titolo si rifà a un magazine autoprodotto di quegli anni, vuole raccontare un periodo uno stile di vita e uno tipo di musica precisamente connotati nel tempo cercando al contempo, senza velleità sociologiche, di ritrarre una intera generazione che di quella musica ha fatto il proprio paradiso.

Il film fallisce completamente il suo scopo perché è totalmente incapace di avere uno sguardo che vada al di là della superficie delle cose, dove i venti anni in cui la storia si dipana passano solamente perché ci son dei cartelli a dirlo (se sai davvero raccontare con un film lo mostri prima ancora che annunciarlo con una scritta) e manca qualsiasi riferimento all’economia, alla cultura, alla politica, alla storia.
I personaggi di Mia Hansen-Løve sono autoreferenziali, sempre uguali a se stessi (l’attore che interpreta Paul è lo stesso ragazzino a fine film come all’inizio e sì che dovrebbe avere 20 anni di più).Roma Film Festival 2014 - Eden_02 petit

Questo sguardo di superficie diventa superficiale anche nella costruzione narrativa che se da un lato è modernamente ellittica (salti temporali e di raccordo narrativo lasciati da ricollegare a chi vede il film) nell’immaginario pesca dagli anni sessanta.
Le donne sono solo le fidanzate di, le ragazze di oppure fanno figli. Al limite sono delle cantanti ma nel film le vedi per pochi secondi. Questo determinismo sessista non è una denuncia del maschilismo di certi ambienti musicali. E’ un dato di fatto che il film non si sente minimamente in dovere di spiegare o criticare.
Nessuno sguardo politico. <Nessuno scrupolo nemmeno sul frasario omofobo che viene usato come intercalare senza che nessuno ci faccia caso. Il film è disgustosamente eterosessista e di ragazzi che amano ragazzi o ragazze che amano ragazze nel film non ce n’è nemmeno l’ombra.
La madre di Paul tratta il figlio maternalisticamente come fosse un quattordicenne anche quando il ragazzo ha 40 anni (l’età che dovrebbe avere se all’inizio del film ne ha 20 come viene detto…). I ragazzi sono fragili, insicuri, indifesi, poverini, mentre le ragazze disinibite e sessualmente promiscue.
Fa rabbia vedere come Mia Hansen-Løve tratta diversamente i corpi degli attori e quelli delle attrici. Queste spogliate e nude quando coinvolte nelle scene di sesso i ragazzi coi mutandoni (nemmeno fossimo in italia ai tempi della Dc) con vistosi errori di edizione (possibile che Paul porti gli stessi identici boxer a distanza di 10 anni?). Non ci fraintenda chi ci legge.

Non stiamo lamentando la mancanza di nudità maschile.
Stiamo lamentando l’umiliazione di spogliare solo le attrici e lasciare gli attori vestiti come fanno tanti registi maschi(listi), solo che stavolta la regista è una donna e il modo ancor m’offende.

In una intervista contenuta nel pressbook del film (quello originale trovato in rete perché sul sito del Festival ci sono solo le foto) Mia Hansen-Løve parla dell’adolescenza dalla quale una intera generazione non è mai uscita.

Roma Film Festival 2014 - Eden_03 petitParadossalmente la prima adolescenza è quella che emerge dallo sguardo con cui ha girato il film incapace di vedere, quella della penna infantile e incapace di raccontare di Mia e suo fratello Sven (che ha fatto il DJ e tanto ci deve bastare) che realizzano un videoclip interminabile di 131 minuti (il senso della sintesi non abita chez Hansen-Løve). Pochi i momenti davvero riusciti: la solitudine di Paul quando piange disperato sulle scale dopo aver appreso del suicidio del suo amico fumettista Cyril (personaggio ispirato a Mathias Cousin, co-autore di una Bande-Dessinée sulla storia della musica Electro); il rave di apertura film, la poesia letta da Paul e declamata sullo schermo dalla sua autrice, una ex di Paul, americana tornata negli States (interpretata da Greta Gerwing, regista del movimento cinematografico Mumblecore) mentre i versi compaiono in sovrimpressione sul fotogramma. Il resto è caos.

Eden è un film ipnotico il cui stordimento emotivo dipende, però, solo dalla musica e nel quale la storia raccontata sembra accadere altrove, fuori dal film, fuori dalla testa della sua regista e da quella degli attori e delle attrici che lo interpretano che sembrano capitare sul set per caso.

Eppure è un film da vedere perché, a suo modo, restituisce il guscio di una forma, il gusto di un tempo che non c’è più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(18 ottobre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©alessandro paesano 2014
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