Wir Sind Jung. Wir Sind Stark (t.l. Siamo giovani. Siamo forti) (Germania, 2014) di Burhan Qurbani in concorso, racconta la giornata che conduce alla rivolta di Rostock, quando il 24 agosto del 1992 un gruppo di neonazisti dell’ex Germania dell’Est da poco riunita attacca un palazzo nel quale sono ospiti uomini e donne migranti.
Il film alterna le loro vicissitudini a quelle di una ragazza migrante vietnamita, che vuole integrarsi alla legalità e alla cultura tedesche, e deve combattere la pressione esterna di chi non la vuole lì, ma anche quella interna del fratello che vuole tornare in Vietnam dove sente di appartenere. Infine seguiamo le vicissitudini di un dirigente cittadino del partito democratico alle prese con le beghe di partito e quelle del figlio neonazi.
Il film, girato in bianco e nero, con un’elaborata ed elegante serie di piani sequenza, segue le vicissitudini di quattro ragazzi e accolite in una loro giornata tipo (una gita al mare, i rapporti sentimentali, familiari, sessuali) che li conduce a partecipare in maniera sostanziale (lancio di molotov) alla protesta che sfocia in una aggressione terroristica. Senza tentare la carta del sociologismo il film si limita a registrare lo status quo, sottolineando le debolezze e le contraddizioni di una ideologia che si nutre di razzismo come disperato tentativo di ritrovare una identità nazionale cancellata da un evento democratico (la caduta del muro) la cui libertà porta ad una intollerabile atomizzazione individualista (per una gioventù cresciuta al collettivismo socialista).
Dalla regia impeccabile (con un passaggio al colore per la scena finale dell’assalto giustificato da un inserto televisivo che li vede coinvolti in una intervista) il film piuttosto che suggerire inesistenti soluzioni pone bene la questione di fondo in maniera onesta lucida e disarmante (come quel sasso lanciato contro la cinepresa da un ragazzino in una soggettiva che vede la ragazza vietnamita rifiutata anche dalle nuove generazioni) dove la grandissima capacità di muovere la mdp al limite del virtuosismo (piani sequenza che vedono carrelli e scene di massa) disturba nella misura in cui l’estetismo del film soverchia la denuncia politico-sociale.
Di registi che sanno scrivere e girare in questo modo ce n’è un gran bisogno.
Il pubblico se ne accorge e non la smette di applaudire regista e cast presenti in sala.
(17 ottobre 2014)
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