Festival Inventaria, “Luxuriàs” con Caroline Pagani #Vistipervoi da Alessandro Paesano

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Luxurias 00di Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

Nell’ambito del festival Inventaria, giunto alla sua V edizione, in corso al Teatro dell’Orologio di Roma, abbiamo assistito alla prima nazionale di “Luxuriàs” di Caroline Pagani e Filippo Bruschi, interpretato dalla stessa Pagani.

Il testo, apparentemente svagato e alla ricerca di un pre-testo per sfottere alcuni capisaldi della letteratura italiana (Dante e D’annunzio) e non solo (fa capolino anche Oscar Wilde rivisto e corretto da Fassbinder), si ispira a Francesca da Rimini (città natia del consorte, lei era originaria di Ravenna) immortalata nei celebri versi del V canto dell’Inferno di Alighieri.

Con l’ausilio di una regressione ipnotica (come ne L’amica delle 5 e 1\2 di Minnelli) il personaggio femminile interpretato da Caroline Pagani dismette l’aura da femme fatale con la quale entra a gamba tesa sulla scena (sto male, c’è un dottore in sala?) lasciando affiorare l’anima dell’antenata Francesca, dipinta come una ragazza ravennate all’apparenza ingenua, che, invece, con poche notazioni, denuncia il destino ingiusto di donna mal sposata a un marito poco attraente al quale preferisce il giovane e bel cognato lamentandosi della sua inanità (ecco non parla mai piange e basta).

Magmatica quando fa scaturire da Francesca gli altri personaggi della trama dantesca, il marito Gianciotto, sempre a caccia, per regalarle gli osei che a te piacciono tanto, o gli alter ego letterari (la Francesca dannunziana) o le controparti della nostra modernità (Moana Pozzi) – Pagani regge la scena da sola con una dirompenza che stupisce sempre. Il testo, presentato in prima nazionale e che risente ancora di qualche ruvidezza, sa piegare alle esigenze comiche la novità di un personaggio femminile che racconta la propria storia la controparte maschile tace e piange facendone un esempio di donna emancipata sessualmente (ecco spiegata la presenza di Moana) senza trascurare le implicazioni delle la sua fine cruenta, nella nostra drammatica contemporaneità, con il femminicidio, irridendo all’amore romantico (che farà di Francesca uno dei suoi fulcri) fino al finale che vede le colombe dal disio portate svolazzare per l’aere da dietro una quinta.

Più incline a mantenere il gioco drammaturgico nelle corde un po’ facili (e maschili) del libertinaggio sessuale che a mettere davvero in discussione il patriarcato che da sempre attanaglia le donne, il monologo, che parteciperà alla prossima edizione del Fringe Festival romano, fa riflettere divertendo senza trasformarsi in un pamphlet femminista. Non che ci sarebbe qualcosa di male, al contrario, ma il pubblico maschile e femminile probabilmente solidarizzerebbe meno con una antieroe meno apparentemente sprovveduta e più ferocemente contro il maschio. Tanto lo scherno (Paolo appare in scena come pupazzo di plastica) passa lo stesso…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(15 maggio 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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