Torino Gay & Lesbian Film Festival… qualche riflessione dopo la chiusura dell’edizione numero trenta

Altra Cultura

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Torino Gay & Lesbian Film Festival 2015 - 00di Gianfranco Maccaferri  twitter@gfm1803

Non posso che essere sincero: è stato un festival che spesso mi ha emozionato per ciò che ha proposto per qualità dei film, per il loro contenuto, per la capacità dei registi di trovare soluzioni intelligentemente belle nel raccontare i sentimenti e le sensazioni che non hanno parole sufficienti per essere raccontati con l’audio.

Un festival che quest’anno si è ritrovato con un budget ridotto, ma che ha continuato a propinare cultura, sollecitazioni, provocazioni.

TG&LFF ha un pregio: la quasi totalità dei film e dei cortometraggi proposti non sono quasi mai successivamente distribuiti nelle sale cinematografiche italiane, quindi se vuoi conoscere ciò che viene prodotto nel mondo, devi essere al festival! È frustrante come realtà, ma purtroppo è così.

Per lo sforzo di risorse e di energie necessario a produrre la trentesima edizione del festival, necessita un doveroso e sincero applauso al direttore Giovanni Minerba, al suo staff e a tutti i volontari che hanno collaborato alla manifestazione.

Un festival, quello di Torino, che non può che essere lo specchio di quanto prodotto cinematograficamente a livello internazionale sulla tematica LGBTQ ed è su questo argomento che necessita una analisi di quanto visto.

Premetto che non ho visionato tutti i film… in un festival è oggettivamente impossibile per una questione di programmazione delle sale ma anche per un fattore di sopravvivenza: il mio massimo quotidiano è di 6 / 8 ore seduto su una poltrona di cinema, mentre il festival spesso programma film dalle 14,30 sino a oltre mezzanotte.

Nella sezione cortometraggi si sono visti dei lavori splendidi sotto ogni aspetto. Alcuni riflessivi, altri molto attuali, altri ancora hanno rivelato le capacità, le intuizioni e il senso estetico di registi giovani che speriamo abbiano nel loro futuro le opportunità per continuare a produrre.

Spesso, alla bellezza estetica, alla cura del montaggio, alla professionalità degli autori non si è avuto la corrispondenza con un contenuto sostenibile e interessante, purtroppo spesso la banalità del racconto era evidente.

Ma in altri tutto è perfetto e mi permetto di segnalarne tre, imperdibili… come in “X ou Y”, del giovane regista franco-americano Storm Sigal Battesti, dove il messaggio è veicolato attraverso la forza espressiva delle immagini e il gioco di sovrapposizioni tra un lui e una lei (che sono la stessa persona), il corto è tecnicamente e poeticamente perfetto, un film in bianco e nero, senza dialoghi e fuori concorso. Altro capolavoro per intelligenza di contenuto, attualità e bravura del regista è “The decision” del regista Wahid Sanouji, ambientato in Olanda, dove un giovane gay di origine marocchina ha una sincera e profonda discussione con il padre, confronto che esige una straziante decisione. Qui è davvero forte l’accostamento tra culture, aspettative e sentimenti. “Home”, del regista canadese Paul Hasick, è talmente semplice che permette di concentrare ogni attenzione sulle espressione e sul dialogo dei due protagonisti: nonno e nipote, entrambi gay, che si raccontano con la complicità dell’affetto e lo zampino dell’Alzheimer che permette sincerità e ricordi piccanti.

Il pubblico ha scelto “Aban – Khorshid” di Darwin Serink, e ha scelto bene: dedicato a chi è morto per amore.

Per quanto attiene i lungometraggi, la selezione e la conseguente proposta al festival è stata davvero importante: quasi tutti i film selezionati erano meritevoli di essere visti, a volte anche rivisti. Ovvio che pochi saranno delle pietre miliari, comunque interessante è stato vedere raccontato l’amore omosessuale nelle sue diverse forme all’epoca della sua accettazione sociale, morale e legale da parte di pezzi di società, in contrapposizione all’omofobia popolare che persiste. Questa contrapposizione ha segnato molti film, spesso con l’innesto del confronto-scontro dell’immigrazione e della globalizzazione, non a caso i due film vincitori del Premio Queer trattano proprio di questo “A escondidas” e ” Je suis à toi”.

Culturalmente storici nel loro esistere e raccontarsi sono i due film che hanno vinto il Concorso lungometraggi: “Gardenia” e “Vestito de novia”, entrambi fondamentali per la cultura che racchiudono e per i significati contenuti, due film completi, anche dal punto di vista della regia e delle interpretazioni.

Ma sul raccontare l’amore, sul distinguerlo da tutto il resto, sull’orgoglio e il rispetto che pretende… io ho amato “Kasal” del regista filippino Joselito Altarejos; film importante anche per l’abilità del regista, per l’estetica, per il contenuto antropologico; un film intenso che può richiedere la collaborazione di un fazzoletto per gli animi sensibili.

E i registi italiani in concorso? Meglio calare un velo e non addentrarsi approfonditamente… “Lazzaro vieni fuori”, cortometraggio di Lorenzo Caproni, sembra la trasposizione a tematica gay di “Un posto al sole”; “Wannabe”, il corto di Marco Calabrese, è un racconto interessante ed onesto, provocatorio nelle situazioni, ma senza emozioni, senza brividi, senza idee particolari nell’uso della cinepresa, delle luci, delle inquadrature; e poi c’è “The birthay”, sempre un cortometraggio della regista Daniela Lucato, bello quanto inutile, esteticamente di pregio quanto banale nel significato.

Cortometraggi… perché nei concorsi dei lungometraggi neppure un film italiano!

Vogliamo approfondire? La persona giusta per farlo è il direttore del Torino Gay & Lesbian Film Festival, e nei prossimi giorni questa domanda gliela faremo!

(6 maggio 2015)

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