Roma Fringe Festival 2015 #Vistipervoi cronaca di una semifinale

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Roma Fringe Fest 2015 - 03 Cavalieredi Sandro Giovanoli

 

Conclusasi la seconda settimana di Fringe Festival, ai piedi di Castel Sant’Angelo, come di consueto il sabato si sono svolte le semifinali, con i tre spettacoli scelti da pubblico, critica, giuria: Guerriere, Così grande e così inutile, La vera vita del Cavaliere mascherato. Il nutrito gruppetto di giurati si è spostato da un palco all’altro ed ha – non senza un certo stupore – decretato vincitore lo spettacolo Guerriere. Un monologo storico, fotografia ingiallita di tre donne vissute cent’anni fa, mentre era in corso la prima delle due grande guerre che hanno sconvolto l’umanità. Tre diverse figure femminili che ricordano il ruolo, spesso ignorato, svolto dalle donne sia nella prima, sia nella seconda guerra mondiale. Sono le donne che hanno tirato avanti la carretta di una nazione privata degli uomini, hanno lavorato, combattuto, allevato i figli e rischiato la vita per star vicino agli uomini lontani. Scritto, diretto e interpretato da Giorgia Mazzucato – che dà anche il nome alla sua compagnia teatrale – ritrae umori e vita di Angela, travestita da uomo per andare a combattere; Eva, un’albergatrice che cerca di imitare la Regina Elena e Coco Chanel; Franca, che pur di rivedere il marito al fronte, costruisce armi e percorre chilometri insieme ad altre donne per gli approvvigionamenti alle truppe. Una memoria storica non facilmente dimenticabile, ma che tuttavia viene dimenticata: per molti infatti le tre storie hanno il carattere della sorpresa. Il tema è dunque importante, l’urgenza di questi tre racconti è forte e ci troveremmo d’accordo col giudizio complessivo se non avessimo trovato il testo eccessivamente retorico e ampolloso, facilmente preda di bassi sentimentalismi patriottici e di genere su cui fa leva in un modo ammiccante neanche troppo celato, se non fosse che Giorgia Mazzucato non ci arriva al cuore e non ci convince sul piano tecnico-interpretativo, né tanto meno sul piano dell’immedesimazione: saremmo stati grati per un po’ di verità; infine l’accompagnamento musicale dal vivo che condisce tutto con una sottolineatura eccessiva dei sentimenti, impacchettando lo spettacolo d’un melenso velo che rischiava di diventare svenevole.

 

Dei tre spettacoli semifinalisti, quello più convincente è stato in verità “La vera vita del Cavaliere Mascherato” liberamente ispirato a “La vera vita di Jacob Gherda” e altre poesie e opere di Bertolt Brecht; il testo è cesellato e completato da Alessandro De Feo e Giancarlo Sammartano. In un triste albergo berlinese, il sottopagato cameriere Jacob Geherda conduce la sua miserabile esistenza, costretto a subire giornaliere umiliazioni dai superiori e dai clienti. Non gli rimane che il sogno come unica forma di riscatto personale e in un’ora di pirotecniche trasformazioni diventa il Cavaliere Mascherato, difensore dei maltrattati. Un delizioso spettacolo, esplosivo, pulito e umile, indeciso tra l’essere un vaudeville, una sceneggiata napoletana o dramma romantico, un’altalena spumeggiante tra sogno e realtà, sorretto sulla solita struttura drammaturgica del teatro brechtiano: insomma, Teatro. A dire il vero la messa in scena va persino oltre il Brecht storico e la sua filosofia, perché fuori dal sogno l’interpretazione è molto vera, non distaccata, secondo i canoni più moderni. Gli interpreti, lodevoli per pulizia e bravura, sono coordinati come gli ingranaggi di un’unica macchina in corsa a folle velocità e pronta ad esplodere. La morale brechtiana è presente, palpabile, lacerante e ci rimane per tutta la sera nella testa la frase “lei non ha soldi, per questo possiede opinioni”. Peccato non possano godere della possibilità di vincere New York, perché probabilmente più di altri spettacoli visti fin’ora riesce a comunicare al di là della comprensibilità linguistica e sarebbe stato un degno rappresentante della cultura teatrale e dell’off italiano.

 

L’ultimo spettacolo in gara è Così grande e così inutile, il quale potrebbe benissimo avere la doppia valenza di titolo e giudizio. Rimane poco più che polvere nei nostri ricordi del sabato, dallo scongelamento di Majakovskij e un’apertura funambolica ricca di ritmo e buone premesse, all’arrovellarsi su se stesso con un intreccio inconsistente gravido di citazioni del noto poeta, circondato da figure grottesche tragicomiche, ma che non lascia spazio alla prosecuzione dell’intuizione iniziale. Come se un ambientazione surreale, qualche “facilona” composizione scenica e le parole di un grande poeta fossero ingredienti in grado da soli di produrre un buon prodotto teatrale. Fumoso.

 

In generale da una semifinale ci si sarebbe aspettati di più, qualcosa di sconvolgentemente bello, ma si resta sotto le attese e chissà, ci si chiede, tra i tanti che hanno calcato i palchi questa settimana non ci fosse qualcosa di migliore. Alla fine si fa uno sforzo pur di trovare il bello, ma il punto di partenza è basso. La serata si protrae tra discussioni e confronti anche dopo la comunicazione del vincitore. Critici/giurati e giurati del settore si confrontano a lungo, talvolta emerge una qualche sconvolgente sorpresa come ad esempio “non conosco Brecht e la storia del teatro” [sic], o il più mite “il cavaliere mascherato è un eroe, quando faceva il cameriere era troppo down”, come se non fosse chiaro anche da sinossi che era un’illusione, un riscatto cercato nell’irrealtà, nel sogno. E sai, che anche costoro, han pesato con il loro strampalato giudizio sul risultato finale. E son problemi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(14 giugno 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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