di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Due giovani fratelli, figli di un militare, il primo destinato a seguire la carriera paterna, pur non volendo, il secondo che vorrebbe seguire le orme del padre ma ha il torto di esser nato dopo. Una madre assente e depressa, un padre autoritario ma segnato nello spirito da un incidente di guerra con dei civili minorenni, una uscita di caccia che si trasforma in una perdita e i due fratelli che escono per cercare il padre e si prendono cura l’uno dell’altro.
Å vende tilbake [t.l. ritorno a casa] (Svezia, 2015) di Henrik Martin Dahlsbakken ci racconta con gusto squisitamente cinematografico l’implosione della famiglia patriarcale, succube dei ruoli di genere dai quali nessuno e nessuna riesce davvero a sottrarsi se non scomparendo. Alle nuove generazioni il compito di fare da genitori ai propri padri e alle proprie madri.
Lo sguardo finale in mdp del secondogenito, la faccia coperta del verde mimetico militare, mentre una lacrima sola gli solca la guancia, quando il fratello più grande singhiozza tra le braccia della madre assonnata, è un richiamo alla nostra responsabilità: gli sbagli delle persone adulte ricadono sulla prole al di là delle nostre intenzioni e non basta chiedere scusa perché ogni sbaglio causa sofferenza.
Eppure basterebbe avere il coraggio di pensare davvero a chi amiamo invece di rinchiuderci narcisisticamente nel nostro dolore per quanto grande esso sia.
Uno dei più bei film di tutta la sezione Alice nella città, vergognosamente presentato in due sole proiezioni , e meno male che il direttore artistico di Alice ha detto di tenere particolarmente al film…
(21 ottobre 2015)
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