“Departure” uno splendido film ignorato dalla Festa del Cinema (e da Alice nella città)

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di Alessandro Paesano    twitter@Ale_Paesano

 

 

 

 

 

 

Departure (Francia/Gran Bretagna, 2015) di Andrew Steggal, o, come recitano i titoli di testa, dèpart\departure  a sottolineare il bilinguismo, tra francese e inglese, presente per tutta la pellicola, è un film che ha il respiro del romanzo per come racconta, con le immagini e con pochi dialoghi, alcuni giorni di sottile, profondo e repentino cambiamento nella vita del quindicenne Elliot e di sua madre Beatrice.
Entrambi inglesi, nella casa delle vacanze nel sud della Francia, questa volta per venderla, madre e figlio affrontano, in solitudine, alcuni nodi delle loro esistenze, che il film racconta senza scene madri, tramite piccoli spostamenti di un orizzonte esistenziale preciso e puntuale.

Una domanda apre il film:  i cambiamenti improvvisi si possono respirare nell’aria prima ancora del loro arrivo?

Questa domanda  è fatta di notte, al chiaro di luna, da Elliot a Clemént, un coetaneo parigino in vacanza nello stesso villaggio, del quale si è innamorato a prima vista, verso la fine del film, ma già proposta prima dei titoli di testa, vera e propria prolessi più che flashback: non si tratta di un tornare indietro del racconto ma di una anticipazione di quanto accadrà.
Il cambiamento cui allude la domanda riguarda le vite di tutti i personaggi.

Per Elliott si tratta dell’omoerotismo del quale è già consapevole (nella sua stanza campeggiano riproduzioni di nudi maschili di Caravaggio e Flandrin), ma che adesso il ragazzo  può sperimentare concretamente grazie a Clemént (il quale capisce subito Elliot sia un pedé e non disdegna la sua corte), mentre per Beatrice si tratta del matrimonio con un uomo che non la ama.

Per comprendere il percorso di Beatrice il film si avvale anche delle spiegazioni del figlio (che racconta a Clemént di una abnegazione autolesionista della donna nei lavori casalinghi) e di quella del padre che scopriamo omosessuale represso che ha preferito nascondersi nel ménage familiare con Beatrice invece di vivere il proprio orientamento sessuale.

Il coraggio con cui Elliot affronta la propria omoaffettività acquista dunque nel film anche il valore delle scarto generazionale tra franchezza filiale e pavidità paterna, rischiando di insinuare che l’omosessualità non affrontata del padre ricada in qualche modo sul figlio come scomodo destino.
Per seguire questo sospetto però bisognerebbe considerare l’omoerotismo come un accidente e non come una normale variante del comportamento umano.

Il film è però un tributo così sentito e fuori da ogni schema all’omoaffettività  che tale sospetto non può essere avvallato.

Quando Elliot vede Clemént per la prima volta, lo guarda con occhi non di concupiscenza, ma di affetto, di desiderio relazionale.

Un tributo alla consapevolezza di sé e dello stigma con cui viene ancora oggi accolta l’omosessualità: quando  Clément dice di non aver letto Rimbaud perché pedé  Elliot gli risponde che lo era anche Hugo il quale ha dovuto aspettare la morte della madre per poter vivere accanto alla persona che amava (e Clément cambia espressione del viso considerando, forse per la prima volta, che i pedé non fanno solo sesso, ma provano anche sentimenti).Departure576x325

Questo senza negare però la se(n)sualità: tornato a casa dopo averlo masturbato Elliot si porta le dita ancor pregne dell’odore del seme di Clèment prima al naso e poi nella bocca.

A Steggal interessa evidentemente il coraggio o la pavidità con la quale i suoi personaggi affrontano la propria natura, qualunque essa sia, facendo di Beatrice più che la vittima di un gay nascosto la vittima di un ruolo di genere dal quel non ha mai avuto il coraggio di sottrarsi.

Mentre fa di Clemènt, che sta sperimentando, non un giovane omosessuale come Elliot e nemmeno il classico etero che prima si fa sedurre e poi picchia il suo seduttore: quando Elliot lo bacia dopo averlo masturbato Clemènt non si sottrae al bacio e dinanzi la sua dichiarazione d’amore (tutta giocata sulla difficoltà linguistica Elliot gli dice je t’aime e Clemènt lo corregge osservando che per dire mi piaci bisogna dire je t’aime bien) accetta il suo sentimento, lo rispetta e non lo nega nemmeno a se stesso.

Una storia composita restituita con una densità narrativa che sta tutta nelle immagini, riprese con una splendida fotografia e sviluppata da tre interpreti di una intensità unica.

Juliet Stevenson dà a Beatrice tutta la forza sopita di una donna che si è sacrificata perché è quello che crede la società si aspetti da lei, Phénix Brossard, incarna tutta la bellezza inconsapevole e spavalda di Clément che piace a uomini e donne (anche a Beatrice) mentre Alex Lawther interpreta Elliot con una forza così straordinaria da farne uno dei personaggi gay meglio riusciti del cinema del terzo millennio.

Questo non vuol dire che Departure sia un film a tematica, pensato per un pubblico di persone omosessuali, o che racconti semplicemente di un coming out: il film di Steggal parla a tutti e tutte dando una dimostrazione squisita di come il cinema possa anche essere arte.

Un film che nel programma ufficiale di Alice nella città è stato censurato nella sua trama in una sinossi pessima che parla come al solito di confusione sessuale e di ambiguità  di Clément (probabilmente per la sua bisessualità non polarizzata nella scoperta della propria omosessualità, vissuta per giunta senza tormento e senza antagonismo con il suo lato etero) e che è stato programmato in sole tre proiezioni la sera tardi (allo studio 3, la sala più piccola di tutta la Festa), o all’ora di pranzo (nella sala esterna all’auditorium), perché evidentemente i film dove l’omosessualità è trattata come una ricchezza e non come un problema è meglio che li vedano in poche persone…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(18 ottobre 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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