Ricordando Artemisia Gentileschi. Donna e Artista

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Artemisia Gentileschi Cleopatradi Giorgia Trinelli

 

 

 

 

 

 

 

 

Artemisia Gentileschi, donna, artista. Prima grande pittrice riconosciuta (ma poco celebrata) dalla storia dell’arte. Artemisia Gentileschi, la donna che in un mondo ostile, riuscì a difendere la sua arte e contrastare un destino ormai preconfezionato per lei.

Figlia di Orazio, celebre pittore del XVII secolo, eredita dal padre il rigore grafico e le tecniche pittoriche. Conosce da sempre i pittori che frequentano la casa.

E’ il Caravaggio al femminile, luci e ombre nitide, definite. Volumi definiti e importanti quando non era permesso a una donna di frequentare una scuola d’arte, né di accedere a studi di ritratti, né di ritrarre corpi.

Artemisia ritrae se stessa, ritrae i suoi volumi, ritrae la sua anima.

Bella, bellissima, ambiziosa, la prima opera “Susanna e i vecchioni” del 1610 che le viene attribuita inizialmente come dubbia, pensando fosse del padre, poi la Storia la riconsegna nelle sue mani.

La tela lascia trasparire il realismo caravaggesco, e la maturità artistica di Artemisia: un artista caparbia e sicura di sé. Artemisia è anche una donna che, stuprata, in un periodo in cui lo stupro era “normale”(quasi come ora), ha il coraggio di denunciare, denunciare l’uomo che l’ha emotivamente uccisa. Artemisia denuncia e sostiene il processo, sostiene l’interrogatorio, con le dita legate da uno spago che continuamente le stringe le dita, per verificare la veridicità delle sue parole. Artemisia, sostenuta anche dal padre vince, vince nel processo e dimostra la colpevolezza del suo carnefice.

L’opera “Giuditta che decapita Oloferne” (1612-1613), conservata al Museo Nazionale di Capodimonte, è il testamento di quella violenza subita che Artemisia getta sulla tela, con rabbia, come rivalsa nei confronti della violenza subita. Ma non è sufficiente: Artemisia è costretta a sposarsi (per recuperare onore) e lasciare Roma per stabilirsi a Firenze, dove viene ammessa all’Accademia delle Arti e del Disegno. A Firenze incontra la famiglia Buonarroti che gli commissione una tela destinata a decorare il soffitto della galleria dei dipinti (pagata il doppio delle altre committenze).

Artemisia però torna a Roma dove è capace di cogliere con sapienza i mutamenti artistici e le novità, facendole proprie e esprimendole al meglio, ma le commissioni importanti non arrivano, dato che le erano precluse tutte le ricche commesse delle pale d’altare e dei cicli di affreschi.

Artemisia riparte, questa volta per Napoli, dove rimarrà per il resto della vita.

Nella città partenopea, si trova a dipingere tre tele per una chiesa e molte altre tele dove dimostra di sapere, ancora una volta, adeguarsi ai cambiamenti artistici e non. Artemisia arriva fino alla corte di Carlo I in Inghilterra, sovrano che nella sua collezione ha “L’autoritratto in veste di pittura”, opera della Gentileschi. Muore infine, nel 1653.

Artemisia viene citata tra i pittori caravaggeschi, viene citata come unica donna che avesse competenze pittoriche, cromatiche e tecniche. Viene citata come artista, da pochi. E’ poco conosciuta, poco acclamata, poco studiata. Come spesso succede, purtroppo, è ricordata più per lo stupro che per il talento. Stuprata due volte.

Ma noi vogliamo ricordare l’artista dai colori seicenteschi, il suo inconfondibile “giallo”. L’artista dalle forme giunoniche ma mai volgari, dalle luci bianche e dalle ombre nere. L’artista dalle innumerevoli velature per riuscire a arrivare a quella particolare sfumatura. Grande disegnatrice, grande osservatrice. Artista e donna capace, intelligente e forte. Che non si è inchinata al volere del suo tempo e delle disavventure.

Una donna con una passione, con coraggio e determinazione, musa e pittrice, artista e donna, in un contesto ambientale e culturale tutt’altro che accogliente. Un esempio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(8 marzo 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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