Laurie Anderson a Napoli fino al 30 settembre, ce ne parla Mila Mercadante

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Laurie Anderson 00di Mila Mercadante  twitter@Mila56170236

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta a Napoli – nel cuore del cuore della città storica – lo splendido chiostro seicentesco di Santa Caterina a Formiello. Dapprima fu dimora di una congregazione di frati celestini, poi diventò una fabbrica di uniformi borboniche, in seguito è stato trasformato in una sorta di centro commerciale a cielo aperto, infine in un deposito di legname. Una rovina, uno scempio, un “casino”, come ha detto Laurie Anderson. Dichiarato nel 1996 patrimonio dell’Unesco, il chiostro ha suscitato l’interesse di due imprenditori napoletani (Fondazione Tramontano Arte) che hanno coinvolto i loro amici Lou Reed e Laurie Anderson, i quali nel 2011 hanno visitato quel luogo incantato. Se ne sono innamorati: insieme ad altri artisti (Patty Smith, Mimmo Paladino) essi hanno sostenuto con entusiasmo i promotori del progetto di rinascita del chiostro ignorato per decenni. Finalmente Made in Cloister prende il via il 27 maggio con la mostra di Laurie Anderson Withness of the body, prodotta dalla Fondazione Tramontano arte e che sarà visibile fino al 30 settembre.

Laurie Anderson è un’icona, un mito: c’è chi la definisce troppo intelligente per preoccuparsi di dimostrarlo, altri le attribuiscono scarse capacità compositive, quel che è certo è che ha saputo maneggiare con grazia un materiale culturale eterogeneo. Anderson è un’artista che ha scritto libri e che ha diretto film, ha prodotto musica, spettacoli multimediali, balletti, arte pittorica, spesso accompagnata nei suoi spettacoli dal gotha della musica internazionale (Brian Eno, John Cage, Philip Glass, Lou Reed, Peter Gabriel, Arto Lindsay) e da grandi scrittori (William Burroughs, John Giorno), sempre ispirata dal poeta Delmore Schwartz. Gli ingredienti delle sue variegate produzioni – musicali e non – sono sempre gli stessi: ironia, autoironia, tonnellate di tecnologia, sperimentazione, alternanze di minimalismo ed eccessi, etti di cattivo gusto, una mescolanza di sottocultura pop e avanguardia, vita quotidiana e riflessioni etiche sui massimi sistemi.

Al centro di Withness of the body c’è Lolabelle, la cagnetta amatissima che l’artista ha perduto qualche anno fa. Disegni stilisticamente elementari realizzati in bianco e nero col carboncino o con acrilici invadono il chiostro per parlarci del corpo, della morte e ancora una volta di un tema caro all’artista, il Bardo Todol, che è per i buddhisti il periodo di 49 giorni in cui chi muore si prepara al cambiamento, alla rinascita in una forma nuova. La Anderson in un’intervista rilasciata a Napoli ha dichiarato di voler dedicare la mostra alla scomparsa improvvisa e recentissima (il 24 maggio) dell’adorata nipote Theadora, la quale in questo momento preciso si rigenera compiendo il ciclo del Bardo.

Due giorni prima dell’inaugurazione della mostra la Anderson si è guardata intorno e improvvisamente ha deciso che mancava qualcosa: mancava la vita, cosicché in pochi minuti ha disegnato un suo sogno ricorrente, vale a dire se stessa che in ospedale partorisce Lolabelle. Lei non mette in mostra un cane, mette in mostra una filosofia di vita, ossessioni, sogni, speranze e tormenti, la fede nella rigenerazione di tutte le cose.

Suo marito Lou Reed morì il 27 ottobre 2013 e dieci giorni dopo Laurie Anderson scrisse e pubblicò una lettera per raccontare al mondo la loro vita insieme fino agli ultimi istanti di vita di lui, descritti nei minimi particolari. Laurie Anderson forse è soprattutto fragilità. L’impressione è che non riesca ad interiorizzare niente, che non vi sia esperienza personale che lei possa elaborare in solitudine, nemmeno il dolore. Anderson deve assolutamente e prontamente condividere tutto attraverso l’arte, fermare l’episodio, congelare il sentimento, immortalarlo e spiegarlo al mondo. Poco importa se rischia di svilire tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(30 maggio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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