Festa del Cinema di Roma: il bilancio a caldo di Alessandro Paesano

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festa-del-cinema-di-roma-2016-40-manifestodi Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

 

 

 

E mentre inizia l’ultimo giorno di proiezioni, a giochi fatti, il film vincitore del premio del pubblico (l’unico premio sopravvissuto al ritorno al paradigma da festival a festa della creatura di Veltroni che voleva un evento per portare la cittadinanza al cinema)  è Captain Fantastic (Usa, 2016) di Matt Ross, vogliamo azzardare qualche commento generale su questa undicesima edizione della Festa del cinema.
Molto pochi quasi nessuno i film davvero interessanti, quei film cioè che sono diversi dal prodotto medio cui il mercato distributivo italiano ci ha abituati, quei film  che ricordano al pubblico che esiste tutt’altro cinema che in Italia arriva raramente o proprio mai. Un cinema diverso che può piacere o meno (le nostre critiche non esprimono mai un giudizio di gusto ma si chiedono sempre quale discorso fanno al pubblico, se confermano pregiudizi e aspettative o regalano un dubbio sul proprio modo di vedere il mondo. Eco di questo splendido dono, il dubbio, il minare le certezze granitiche che abbiamo sulle cose e sulle persone è latitato al festival.
Latita soprattutto la voglia di rappresentare coi film selezionati quel cinema che in Italia non arriva vocazione che nei primi anni di Festa e anche durante gli anni di Festival aveva portato diversi film che non avevano una distribuzione (o che l’avevano dopo il loro passaggio alla Festa). Adesso a guardare la programmazione di questa undicesima edizione l’60 % dei film ha già una distribuzione italiana. Per cui questa Festa è diventata una anteprima della stagione appena iniziata. Per cui se parliamo di festa più che del cinema (intesa come Settima Arte) dobbiamo parlare di una più modesta festa della distribuzione.
Le più grandi sorprese vengono dal sudamerica (7:19 e La última tarde  due splendidi esempi), assente il cinema asiatico (tranne alcune rare e magnifiche eccezioni)  assente quello Iberico, in una edizione caratterizzata dal conformismo: della distribuzione, dei generi di film programmati, delle storie trattate (sesso e amore, spesso ma non sempre conditi di misoginia, come se nella vita non ci fosse nient’altro) e dove le retrospettive (quest’anno quella su Valerio Zurlini), sono relegate in sale anguste roba per cinefili incanutiti e invecchiati prima del tempo.
Manca un progetto culturale a questa Festa che non rispecchia nemmeno più l’idea originale di Veltroni che era quella di dare lustro all’aspetto vogue del cinema allestendo un evento dove idolatrare divi e dive (mai visto un red carpet più scarno) andando a vedere i film insieme in sale grandi in mezzo alla gente come si faceva una volta.

Con i soliti orari assurdi, con sovrapposizioni che impediscono di vedere due film di seguito a meno che non si abbia il dono dell’ubiquità (lo ripetiamo ogni anno vogliamo la testa di chi cura gli orari delle proiezioni su un vassoio di platino) sta per concludersi l’undicesima edizione scialba e in minore. Una Festa che si fa sempre più fatica a difendere ma che ci pare quest’anno sia stata criticata nella sua ragion d’essere meno che in passato (sport nazionale fin dalla sua prima edizione), segno che comincia evidentemente a dare meno fastidio.

Solo il pubblico entusiasma: quello anziano di signori e signore attempate che vengono al cinema in sala nonostante tutto, e quello giovane e ignorante che non sa nemmeno che cosa sia M di Fritz Lang.

Ecco, magari più storia del cinema e meno mercato per la dodicesima edizione, della quale siamo già in trepidante attesa.

 

 

 

 

(23 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

 

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