L’Arte vista da Emilio Campanella: Vik Muniz

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di Emilio Campanella

 

 

 

Palazzo Cini a S.Vio, a Venezia propone per la sua stagione di apertura annuale (sino al 15 novembre), una mostra personale del brasiliano Vik Muniz, che si divide fra New York e Rio de Janeiro. La mostra s’intitola: Afterglow, Pictures of Ruins. Personalità poliedrica, presenta otto “quadri”, otto disegni, una installazione dal titolo: Quantum Leap (2017, Courtesy Berengo Studio) e consta della riproduzione ingigantita di un bicchiere settecentesco del Museo Vetrario di Murano, solo che l’oggetto è in frantumi ed il vino è versato sul pavimento, sulla parete alle spalle: Allegorical scene from Dosso Dossi, una situazione violenta, da bettola, ed infatti l’opera originale s’Intitola: La zuffa, circa 1521-22, e si può vedere al piano inferiore.

 

Il gioco ironico è sottile, una sala è solo per questa strizzata d’occhi d’arte, ad arte! L’esposizione, curata da Luca Massimo Barbero, ha una perfetta illuminazione, indispensabile, in particolar modo per queste opere sottovetro giocate su spessori e profondità. Si tratta di d’après, in un certo modo, in cui Muniz rifà, ricrea, reinventa quadri del passato, da Guardi a Constable, da Canaletto ad Hubert Robert, da Friedrich a Giovanni Paolo Panini. E’ inevitabile che sulle prime non si riesca a comprendere che cosa si sta guardando, infatti i lavori sono un po’ come dei collages, mi si passi il termine semplicistico, che giocano molto abilmente con la tridimensionalità, la luce, i cromatismi più precisi ed attenti. Per far comprendere, si ha a che fare con delle complessissime ed elaborate giustapposizioni  usando frammenti di libri d’arte.

Un’altra sala è dedicata ad otto disegni “alla Piranesi”, ulteriore omaggio alla Fondazione Cini che possiede l’intero corpus dell’artista settecentesco, del quale è esposta, in apertura della mostra, una magnifica incisione. La manifestazione è prodotta in collaborazione con Ben Brown Fine Arts di Londra, da cui provengono tutte le opere “fotografiche” esposte, inedite e del 2017. Marsilio ha pubblicato il catalogo, al solito, accurato nelle riproduzioni cromatiche, in questo caso, decisamente impervie da rendere dati i giochi di rilesso e quasi di trompe l’oeil dei “quadri”. Tutte le opere sono riprodotte, e nel testo dell’intervista a Muniz, di Luca Massimo Barbero, come si sa, anche Direttore dell’Istituto d’Arte della Fondazione, immagini di arte antica cui Miniz si è ispirato per questo suo nuovo ciclo.

Una sorta di artista musivo attirato dai reperti, dalle rovine – una tendenza vieppiù diffusa – come un ripiegamento sul passato, un ripensamento intorno a valori, secondo alcuni, in crisi, ma sicuramente minacciati. Un cercare e ritrovare, mangiare l’arte per rivomitarla ricreata rigenerata e fatta propria… forse anche fisicamente ed infantilmente gastrica, certo. Ma pure una grande discarica organizzata di fogli colorati frammentati e frantumati, volatilizzati e che dopo una deflagrazione, tornano a posarsi lentamente riorganizzandosi con precisione per creare altro… Consiglio una visita attenta a questi lavori che si possono osservare anche per ore, scoprendone sempre nuove sfaccettature.




(22 aprile 2017)

 

 

 

 

 

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