“The Creator” come manifesto dell’ideologia trasumanista e progressista

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di Michele Pirro

Ci sono sostanzialmente due modi di leggere e giudicare questo film dopo i titoli di coda: primo da “nerd” amante della fantascienza, secondo da “intellettuale” dotato di pensiero critico. Gareth Edwards, regista di uno dei film più attesi del 2023, soddisfa entrambe le categorie attraverso scontri tra uomini, robot ed umanoidi e storie intrecciate tra quest’ultimi che aprono a riflessioni filosofiche contemporanee.

The Creator, prodotto dalla 20th Century Studios è arrivato nelle sale italiane il 28 settembre 2023, è un film dal genere fantascienza/sci-fi che tratta il tema dell’AI (Intelligenza Artificiale), in particolar modo del pericolo che una tale tecnologia all’apice del suo sviluppo rappresenterebbe per l’uomo. Ma è davvero questo il messaggio che arriva al pubblico? Scopriamolo insieme…

Ci si trova nel 2065 all’interno di una guerra globale sulla Terra tra gran parte dell’umanità e la massima tecnologia artificiale applicata sui robot, rendendoli di fatto androidi ed umanoidi chiamati Simulant. Dotati di intelletto, sentimento e libero arbitrio, essi vivono rifugiati nella Nuova Asia assieme ad una minoranza di umanità locale a loro sostegno chiamata ribelle, perseguitati a causa del conflitto da loro scatenato con la semidistruzione di Los Angeles. L’agente speciale Joshua (John David Washington) viene infiltrato con lo scopo di scoprire dove si trova il Nirmata, ovvero lo scienziato “creatore” che ha permesso la liberazione dell’ AI e la sua ribellione. Durante questo periodo in servizio nella comunità nemica, egli si innamora di una donna chiamata Maya (Gemma Chan) la quale ha sul collo come tatuaggio un simbolo misterioso. Il genere umano, sentendosi a rischio estinzione, costruisce una gigantesca navicella volante chiamata Nomad per acquisire un vantaggio sostanziale che avrebbe assicurato la vittoria grazie ad una nuova tecnologia distruttiva. Per difendersi, i Simulant a loro volta sviluppano un’arma talmente potente da controllare ogni tecnologia computerizzata e campi magnetici in modo da distruggere Nomad e ribaltare così le sorti dello scontro. Attraverso una soffiata, senza alcun preavviso, l’armata occidentale a guida del Generale Andrews (Ralph Ineson) sferra un attacco a sorpresa sull’isola infiltrata ed è qui che Maya,  in stato di gravidanza, prima si allontana da Joshua avendone scoperto la sua natura di traditore e dopo viene colpita assieme agli altri ribelli e Simulant dalla navicella durante la fuga in mare. Da questo momento in poi la storia si arricchirà di battaglie, cambi di prospettive e colpi di scena fino al finale in stile “Armageddon”, celebre film del 1998.

Il giovane regista britannico amante della fantascienza, avendo già diretto film come  Monsters (2010), Godzilla (2014) e Rogue One: A Star Wars Story (2016), dimostra in questa sua nuova creatura di non aver ancora soddisfatto la sua fame di futuro, sfoggiando in 133 minuti di pellicola una raffica di effetti speciali, azione, ambientazioni e personaggi avveniristici, prospettando un possibile scenario all’indomani dell’era digitale e post-umana. Il tutto viene romanzato attraverso storie che toccano l’emotività, rendendo il film gradevole ad un pubblico trasversale. I ritmi risultano incalzanti mantenendo sempre l’attenzione alta così come il montaggio frenetico. Ottima la scenografia e la fotografia, che ricordano in alcuni tratti la guerra in Vietnam degli americani tra paesaggi e musiche come quelle dei Deep Purple (Child in Time). Assolutamente sbagliata invece la scelta della divisione in capitoli che va tanto di moda ma stona nel contesto in cui siamo immersi. Difficile da mandare giù.

Il cast oltre ai già citati, vede la presenza di Ken Watanabe (Harun), sempre credibile in questi ruoli, Sturgill Simpson (Drew) e Allison Janney (Colonnello Howell).

Tornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio, la risposta è no, il messaggio non può essere esclusivamente racchiuso in “Uomo VS Macchina”. La volontà è quella di portare lo spettatore ad accettare, umanizzare e difendere questa folle idea di progresso scientifico senza che egli stesso non si renda minimamente conto dei veri pericoli che corre. Il ribaltamento della realtà è totale, manifestato attraverso svariate scene: il sentimento di amore tra uomini e Simulant, lo sdoganamento di una famiglia 2.0 non più naturale, robot fedeli con costumi di culto e collane tibetane che adempiono a funzioni religiose per quelli che sono stati “spenti” (termine usato dal protagonista per definire quelli eliminati) come se fossero morti, la persecuzione da parte dell’uomo che rende l’AI minoranza in schiavitù da difendere. Un corto circuito assolutamente possibile nella realtà di una società cyber-capitalista dove l’uomo attraverso la digitalizzazione incontrollata perderebbe completamente i suoi valori riscrivendo la storia. “La chiamano Evoluzione”.
Inoltre si assiste a diverse scene dove viene usata la pratica del trasferimento della memoria o “anima” da un defunto ad un umanoide attraverso una sorta di chiavetta USB sconfiggendo la morte, tra gli obiettivi dell’ideologia progressista transumana.

Altri film del passato hanno trattato queste tematiche, dal più celebre Blade Runner (1982) al più recente Lei (2013), ma nel lavoro di Edwards l’Intelligenza Artificiale viene umanizzata in tutto nei minimi dettagli, risultando alle volte anche grottesco.

Per godersi a pieno “The Creator” dunque bisognerebbe entrare in sala da nerd ed uscire da intellettuali. Vanno bene lo spettacolo, gli effetti speciali e il fantasticare, ma essendo tematica di estrema importanza ed attualità nella vita reale meglio non esserne assuefatti con la speranza che l’Uomo rimanga Uomo. Voi da che parte state?

 

 

(6 ottobre 2023)

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