“L’Isola dei Femminelli”, o del confino per chi era accusato di omosessualità. Il bel romanzo di Aldo Simeone

Altra Cultura

Condividi

di Andrea Mauri

“L’isola dei femminielli” è San Domino, una delle Isole Tremiti, arcipelago del Mare Adriatico.

Durante il regime fascista, era stata scelta come confino per chi era accusato di omosessualità. Nel settembre del 1939 Aldo, ventenne toscano, arriva sull’isola e incontra una comunità che lì era stata relegata tempo addietro. Sono tutti siciliani di Catania, vivono in due casermoni fatiscenti sotto il controllo dei carabinieri, poco interessati al loro lavoro.

Ci sono la Fisichella, la Picciridda, la Leonessa, la Sticchina, il Professore, il Dottore, la Peppinella. Tutte vittime del pregiudizio e dell’odio nei confronti di un orientamento sessuale che per il fascismo non doveva esistere e quindi andava nascosto su lidi remoti. Il romanzo di Aldo Simeone (l’autore ha lo stesso nome del protagonista del libro) è la storia di una resistenza, dell’utopia di una comunità. L’idea è nata nel 2013, stimolata da una fotografia trovata da Simeone e come sottolineato dall’autore, le storie incontrano per caso lo scrittore che è pronto a raccontarle e a offrirle alla conoscenza di tutti perché appartengono al nostro passato.

La vita dura sull’isola di San Domino si svolge in stanze poco riscaldate d’inverno e bollenti d’estate, con un solo gabinetto per circa cinquanta persone, un luogo dove si assiste a momenti di solidarietà e paradossalmente, di libertà del gruppo, quella libertà che ipocritamente il fascismo voleva annullare. San Domino rappresenta il rovesciamento di molte cose, nell’isola aleggia sempre qualcosa di inaspettato e soprattutto non c’è più nulla di cui vergognarsi.

Ci sono anche il disprezzo degli abitanti dell’isola, gli incontri clandestini nei boschi, i carabinieri esiliati anch’essi in quella parte di mondo in mezzo al mare e talvolta non disdegnosi delle attenzioni dei femminielli.

La vita a San Domino e le dinamiche della comunità degli arrusi, gli omosessuali in dialetto catanese, sono al centro del romanzo. La narrazione è attraversata dalla durezza con cui è descritto il paesaggio dell’isola, dove il vento del nord soffia spesso e storce i pini che la fanno da padrone sul territorio. Tronchi ritorti, come le storie dei femminielli, vite storte perché fuori della regola sociale, storte dall’isolamento e dall’autorità, che decide per loro come bisogna comportarsi per essere dei bravi maschi italiani e fascisti. La durezza nelle dinamiche della comunità, tra invidie, gelosie, sospetti, spiate.

Però è anche una narrazione morbida, quella che racconta le giornate più liete dell’autunno e della primavera, quella dei momenti di solidarietà del gruppo, quando i femminielli immaginano il futuro lontano da quella realtà o quando più semplicemente organizzano il Capodanno, che deve restare memorabile. Narrazione morbida pure quando nasce il desiderio in corpi così prossimi, corpi che sono di giovani ventenni, che hanno voglia di perlustrare la vita, anche se in quel periodo i loro confini sono molto ristretti. Ci sono però gli scogli, il faro, la spiaggia e l’orizzonte del mare per inventarsi ognuno per sé il modo di vivere queste emozioni e scambiarsi il desiderio con gli altri arrusi o con i questurini, incuriositi da tali strani esseri sbarcati sull’isola da un mondo alieno.

Come spiega bene Aldo Simeone, il gruppo sovverte il luogo comune del borghese decadente. Sono perlopiù ragazzi che non hanno frequentato la scuola, che in libertà hanno una vita diurna rispettabile e una vita notturna fatta di incontri clandestini. Spendono la vita a non essere visti, a coltivare l’invisibilità come condizione essenziale, a non frequentarsi tra omosessuali nella vita quotidiana. Sull’isola invece creano una comunità molto visibile, ed è qui la grande contraddizione del sistemo del confino.

Si soffre, leggendo i cambi di ritmo della narrazione. Una lettura a tratti ostile, a tratti invitante. Sembra sfidare il maestrale che piega gli alberi, sembra offrirti gli strumenti più resistenti per scalfire la corazza che i femminielli hanno indossato per sopravvivere al confino. La scrittura graffia le viscere, vorresti buttarla via, ci ho pensato più volte, ma a rifletterci bene non sarebbe stato giusto confinare per una seconda volta la vita di quel gruppo di arrusi in spazio e tempo così circoscritti.

La prigionia disturba la nostra libertà, o presunta tale. Quello che ci fa male, è constatare che forse il nostro senso di libertà non è altro che il contrappasso di uno stato di schiavitù interiorizzato. Lo intuiamo nei pensieri di Aldo, il protagonista, quando cerca di capire perché ricade sempre nel desiderio di sesso con uno dei femminielli del gruppo. Allora, la prigionia del confino si confonde nella sua testa con quella schiavitù del sesso e lo fa sentire sbagliato, come evidentemente sbagliati si sentono anche gli altri ragazzi confinati. Leggere di uomini discriminati e cancellati agli sguardi umani spiazza le nostre certezze, ma non per questo dobbiamo frenare la curiosità di conoscere che destino avranno i femminielli dell’isola.

Nel giugno del 1940 i confinati di San Domino saranno rilasciati e in parte arruolati nella misera guerra ormai inevitabile. Non sarà un futuro roseo per tutti. Una cosa però è certa: il regime fascista aveva sbagliato i calcoli. Nel tentativo di nascondere l’omosessualità in favore del mito del maschio eterosessuale, paradossalmente creò una comunità solidale e libera, attraverso un esercizio di libertà che i femminielli di San Domino porteranno per sempre nella loro esperienza come medaglia al petto.

 

 

(10 dicembre 2024)

©gaiaitalia.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 





 

 

 

 

 

 

 



Pubblicità