Intervista allo scrittore Matteo Righetto: “L’Orco e gli Orchi che inseguiamo ogni giorno”

Altra Cultura

Condividi

MATTEO RIGHETTOdi Maximiliano Calvo

Parlare di Matteo Righetto ci poneva un problema di definizioni: uno scrittore che è anche organizzatore di eventi culturali che è anche professore di scuola che è anche creatore di una scuola di scrittura sui generis. Lui ci ha risolto il problema, autodefinendosi, “agitatore culturale“. Un termine che ci piace: e che pensiamo calzi a pennello.

Matteo Righetto non è solo un eccellente scrittore, è un uomo in perfetta linea con il suo tempo, quello biologico oltre a quello letterario, e che corentemente con i suoi obiettivi e il suo pensiero (umano, oltre che letterario) cerca il meglio. Per sé e per gli altri. E’ stato un piacere incontrarlo.

 

L’intervista:

 

Innanzitutto grazie per avere accettato il nostro invito. Ciò che colpisce di lei, a parte la scrittura, è la sua scelta di “fare cultura” a tutto tondo. Festival, insegnamento, scuola di scrittura sui generis, la si direbbe più anglosassone che italiano…

Io stesso per certi versi mi sento più anglosassone che italiano. La cultura deve dimostrarsi sempre viva, proporre nuove istanze ma anche provocare, azzardare, far discutere. Invece troppo spesso in Italia gli ambienti culturali e chi li frequenta sembrano voler prendere la direzione diametralmente opposta, quella del conservatorismo e dell’autoconservazione. Proprio come le mummie… Il critico Gian Paolo Serino mi ha recentemente definito come uno dei più attivi “agitatori culturali”italiani. Cosa che mi ha fatto molto piacere, come potete immaginare. Io mi sento così.

Come nasce il suo essere scrittore, da quella che i colti chiamano “urgenza”, da passione o semplicemente perché sì…Matteo Righetto 03

Ho sempre amato le storie. Il fatto di ascoltarle incantato da bambino, poi leggerle, inventarle a mia volta, raccontarle, e infine scriverle. Non saprei se definirla un’urgenza, una passione o chissà che cos’altro, certo è una cosa che mi appartiene fin da piccolo e che costa anche parecchia fatica. E’ una sorta di prolungamento del mio “tu” sorto in me piano piano senza che me ne potessi rendere conto, in età prescolare, così, dal nulla, piano piano, esattamente come come mi sono comparse le lentiggini.

Come ha maturato l’idea del festival Sugarpulp?

Volevo proporre qualcosa che fosse letterariamente dirompente rispetto alle paludi dei salotti buoni  o sedicenti tali. E poi l’idea di portare a Padova autori nazionali e internazionali dediti alla letteratura di genere è stata per certi versi coraggiosa, ma fortunatamente anche efficace e ben ripagata da un pubblico che nelle prime due edizioni ha sempre premiato il nostro impegno.

In tempi di vacche magre un Festival Letterario può servire alla Letteratura?

Direi di sì. Pensa che per il Festival Sugarpulp non riceviamo un solo penny di finanziamento pubblico e non chiediamo un solo penny agli spettatori. Tutti gli eventi sono gratis!

Veniamo a “La Pelle dell’Orso”, ci racconta la genesi del romanzo?

Volevo raccontare una storia potente, ma anche delicata; epica e violenta ma anche dolce e fiabesca.

Quanto rappresentazione del potere c’è in quest’Orco che sempre ci portiamo dietro?

Effettivamente ce n’è parecchia, sì. Ma anche dell’Orco che ci portiamo dentro, dell’Orco che ci insegue e soprattutto dell’Orco e degli Orchi che noi stessi inseguiamo ogni giorno…

Come il nostro collaborativo critico ha suggerito, hanno ancora un posto su questa “terra smargiassa” le fiabe?

Il vostro ottimo critico, la cui recensione mi ha quasi commosso, suggerisce in questo senso una domanda retorica che condivido pienamente e che pertanto faccio anche mia. Sì, le fiabe hanno posto e sempre ne avranno, finché esisterà un solo essere umano su questa Terra.

Come lei dice la “Scuola Twain è un mio progetto didattico-letterario per portare la letteratura e la fiction nelle scuole si tutta Italia”, come fa?

Attraverso una passione sconfinata e una rete di eccellenti coordinatori che condividono le stesse idee sulla letteratura, sul suo ruolo fra i giovani e quindi sul suo ruolo nella società presente e futura.

Non era più comoda la solita scuola di scrittura che costa un botto agli allievi e fa tanto filantropo?

Sarebbe stata più comoda e proficua, certamente, ma sarebbe stata un’altra cosa. Anzi: una cosa “altra”.

Matteo Righetto 04

 

Come vede il panorama culturale italiano dove troppo spesso, secondo noi, poi la riposta la darà lei, si scrive molto per apparire e poco per raccontare?

Condivido in toto questa affermazione. Sono tanti, troppi gli scrittori italiani ripiegati in una sorta di contemplazione del proprio ombelico. Dobbiamo recuperare il senso della narrazione, delle storie. Il grande Luigi Meneghello disse: “’Sti scritori tanto bravi a tegner le redini, ma sacramento, ‘ndove zelo el cavalo?”

I suoi progetti futuri dove la portano?

Chissà dove mi porteranno! A scrivere altri romanzi, questo è certo. E poi tante altre cose che per il momento però preferisco non svelare per scaramazia.

 

 

Pubblicità