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Festival Internazionale del Film di Roma: una collezione di occasioni mancate, ma “Juliette” è magnifico

Festival Roma 2013 - 01 Logodal nostro inviato Alessandro Paesano  twitter@ale_paesano

Il primo film della quarta giornata di Festival che abbiamo visto è una produzione russa importante, che ha investito ingenti capitali per raccontare una pagina della storia della seconda guerra mondiale presentato in 3D al festival come evento speciale.

Giustificato da una cornice narrativa contemporanea, un pompiere per tenere calma una ragazza imprigionata, tra le macerie di un palazzo,durante una esplosione, le racconta di come lui abbia avuto cinque padri, Stalingrad (Russia, 2013) di Fedor Bondarchuk, presentato fuori concorso,  racconta una delle tante pagine della seconda guerra mondiale (nella quale la Russia ha avuto 20 milioni di vittime) che nell’ex Unione Sovietica chiamano guerra di liberazione (l’Urss fu invasa dalla Germania Nazista che tradì il patto di non belligeranza che le due potenze avevano firmato). Alessandro Paesano 00

Quando nel 1942 i sovietici cercano di respingere i tedeschi che hanno occupato la metà di Stalingrado l’operazione non ottiene il successo sperato e alcuni soldati si rifugiano in un’abitazione sulle rive del Volga. Lì conoscono alcune donne sopravvissute all’invasione e alla distruzione della città.
Il film si apre  con delle spettacolari scene di guerra una delle quali è già entrata nella  storia del cinema (i soldati russi continuano a correre verso le trincee tedesche nonostante il fuoco abbia incendiato le loro divise, bruciando con loro il nemico),  ma si perde ben presto nel sentimentalismo quando  cinque soldati russi si ergono tutti  protettori di una giovane ragazza del luogo, cui il film contrappone una ragazza che per sopravvivere se la fa invece con un sodato tedesco (che l’ha presa a ben volere in quanto gli ricorda la moglie morta…).

Quando entrano in scena le due donne il film si siede trasformandosi improvvisamente in uno sceneggiato che dà della donna una insopportabile immagine passiva facendone un essere capace solamente di fare la madre, o di andare a letto con l’uomo, e che necessita di protezione da parte del maschio perché costituzionalmente debole  (alla ragazza che se la fa col tedesco viene strappato di mano il coltello col quale si difenda un maschio che lo prende virilmente per la lama ) a differenza delle donne, quelle vere, che durante la seconda guerra mondiale hanno dato un contributo fondamentale in mille campi e mille modi.

Festival Cinema Roma 2013 -10 StalingradElefantiaco ed esageratamente lungo anche il 3d con cui è girato dopo un po’ stanca o, meglio, ce se ne dimentica, ritornando a imporsi solamente quando il fucile di uno dei soldati spunta dalla barricata venendo dritto in faccia alla platea. Stalingrad ci presenta una profusione di immagini generate al computer affogate in una musica retoricamente drammatica firmata da Angelo Badalamenti costituendo comunque una valida alternativa al(la retorica dei) film americano anche se si perde strada facendo.

Divertente, intrigante, ben confezionato il documentario fuori concorso, italiano ma di nazionalità tedesca, Il carattere italiano (Germania, 2013) di Angelo Bozzolini sull’Orchestra di Santa Cecilia.

Il  documentario è prima di tutto un tributo alla orchestra romana che gode di una tradizione centenaria e al suo direttore attuale Antonio Pappano ma diventa ben presto un tributo alla direzione di orchestra in generale mostrandoci diversi stili di conduzione orchestrale in base a diversi direttori che hanno condotto l’orchestra di Santa Cecilia negli ultimi venti anni (e vedere dirigere George Pretre è una vera esperienza) e anche un tributo ai giovani e alle giovani orchestrali di Santa Cecilia che ha raggiunto, grazie a Pappano, punte di eccellenza mai avute in passato. Una orchestra, quella di Santa Cecilia,  che, per stessa ammissione di uno dei suoi musicisti, non si distingue per la precisione tecnica che hanno, per esempio, quella di Berlino o di New York, ma che produce un suono caldo, ricco, pieno di passione ed energia che le altre orchestre non hanno.   Tra hobby dei e delle orchestrali (dall’apicoltura all’escursionismo) tra visite al liutaio e il racconto dei sogni ricorrenti, il documentario offre uno sguardo a tutto campo su un gruppo di orchestrali che sono un esempio squisito di quel carattere italiano che il documentario contribuisce a riconoscere loro, ricordandocelo fin dal titolo. E anche il documentario, aggiungiamo noi, è un perfetto esempio di quel carattere italiano che ci contraddistingue quando raggiungiamo l’eccellenza.

Festival Cinema Roma 2013 -11 Dayani CrystalIl documentario Who Is Dayani Cristal? (GB/Messico, 2013) presentato come evento speciale nella sezione Alice nella città,  affronta con diversi piani narrativi la storia di un migrante dell’America Centrale  trovato morto nei deserto dell’Arizona.  Il documentario intervista diversi funzionari e funzionarie statunitensi che si occupano dei tanti casi di cadaveri non identificati di migranti irregolari, che ammontano ormai a più di duemila.
Perdendosi in inutili dettagli sugli effetti personali dei cadaveri,  sui dettagli dei database dove questi ritrovamenti vengono memorizzati e schedati, gli intervistati e le intervistate, dopo avere ricordato che la forza lavoro dell’America centrale giunge negli States perché c’è domanda, ricordano come il numero di morti sia aumentato in seguito alle politiche restrittive sull’immigrazione adottate a livello federale dalla presidenza Clinton nel 95.

Purtroppo queste informazioni vitali e di denuncia sono alternate ad altri due livelli narrativi, romanzati e retorici: le interviste ai familiari del cadavere finalmente identificato (grazie al nome della figlia che portava tatuato sul petto e che dà il titolo al film) e una fintissima e inopportuna ricostruzione nella quale vediamo Gael García Bernal (produttore del film) fingersi migrante clandestino che interagisce con dei veri migranti, secondo gli stilemi della fiction, visto che tutti agiscono ignorando la presenza della videocamera…

Così tra i dettagli inutili sulla vita di questo uomo ignoto e poi non più, il dolore provato mentre si faceva il tatuaggio, ma per sua figlia questo e altro o sul dolore della moglie alla notizia della sua morte, secondo gli stilemi della più trita delle tv verità e del dolore, le informazioni che danno una visione ben diversa della democratica America del nord sono soffocate da una retorica sulla migrazione che fa più danni che altro.Festival Roma 2013 - 01 Logo

Confezionato con impeccabile nitore formale e una splendida fotografia Who Is Dayani Cristal? ci presenta una immagine degli abitanti del centro America talmente oleografica da sfiorare il razzismo (una povertà stereotipata, codificata in una vita rurale sottolineata da una musica amerinda) che finisce per affogare i dati essenziali sulle inique leggi contro l’immigrazione che potevano essere spiegate in maniera  più incisiva e non diluite in un racconto che dura 84 minuti nel quale sulla denuncia prevalgono i buoni sentimenti, mentre la morbosità per il dato personale prevale sulla lettura sociale e politica facendo del documentario una grande occasione mancata.

E mentre la pioggia attanaglia il festival ci lasciamo sorprendere dalle ultime due proiezioni, una séance della sezione CineMaxxi con quattro titoli variamente interessanti, e lo splendido film francese, nella sezione Alice della città, Juliette.

La sèance del CineMaxxi vede quattro cortometraggi tutti in concorso, che spaziano tra diverse concezioni artistiche delle immagini in movimento.

Festival Cinema Roma 2013 -12 Just Like UsSi va dal racconto per immagini Just Like Us (Usa, 2013) di Jesse McLean, un racconto della memoria del cambiamento fisico di uno spazio una volta abitato, mentre dei sottotitoli  commentano le immagini, adesso occupato da grandi magazzini dove i vicini, gli altri, compiono dei gesti quotidiani  e banali mentre questi dettagli di vite sono immortalati in fotografie restituite con la tecnica grafica della puntinatura, così squisitamente anni 60-70. Non di immediata comprensione e un poco ripetitivo  si attesta sull’esercizio di stile (e infatti è il saggio finale di una residenza universitaria post laurea).

Non fondamentale ma permette di capire cosa si fa nelle università americane di cinema che offrono residenze (possibilità di lavorare a un progetto offrendo vitto e alloggio) alle artiste.

 Theatrum Orbis Terrarum (Portogallo, 2013) di Salomé Lamas è un delirio in immagini che compie un parallelo tra l’esposizione di un museo di paleontologia portoghese che una presenza femminile esplora, a quelle di un’altra esplorazione, una zona di mare popolata da scogli, ripresi con una illuminazione scarsa in modo tale che la forma degli scogli diventa puro segno grafico, nel quale possiamo credere di distinguere volti, segni, contesti, mentre nel finale la donna esploratrice si concede una bevuta da un cocktail fumante intonando una canzone. Manca al lavoro la leggerezza necessaria per rendere il corto davvero fruibile mentre così com’è rimane ostile e di difficile fruizione. L’ironia, tranne qualche cenno nella sequenza finale,  qui non è di casa.

Festival Cinema Roma 2013 -13 GangsterE’ poi la volta dell’interessantissimo Gangster Backstage (Francia\Sud Africa, 2013) nel quale il regista Teboho Edkins torna per la terza volta a indagare il mito del gansterismo: pubblica un annuncio nel quale cerca giovani di entrambi i sessi da provinare per dei ruoli di gangster e nell’annuncio specifica che sono gradite esperienze di gangsterismo. Così si presentano al provino figli, amanti, padri e madri di gasgter che vengono filmati mentre improvvisano un discorso, una postura una situazione da gangster. C’è chi si immagina di essere in prigione disegnandone i confini sul pavimento della sala dove avviene il provino, chi inneggia alla libertà, chi si esercita in posture e linguaggio del corpo da gangster. Un esercizio interessante nel quale saggiare la contaminazione dell’immaginario collettivo del gangsterismo statunitense (e non). Purtroppo però il regista pensa bene di proporci i provini senza spiegarci minimamente il contesto in cui sono stati filmati (lo farà dopo, nell’incontro col pubblico) presentando le immagini senza alcuna glossa. E questo è il limite più grande di molti dei corti proposti da CineMaxxi l’ingenua idea che la ripresa per immagini in movimento sia portatrice di un senso autonomo anche se avulsa dal contesto di produzione. Ne scaturisce così un’idea di cinema e, più in generale, di arte, elitaria, autoreferenziale, dannatamente aristocratica e davvero poco democratica. Un tema del quale vorremmo avere più tempo per parlarne ma il prossimo corto incalza e l’argomento è rimandato, chissà, a un prossimo articolo.

Ultimo corto della sèance The Buried Alive Videos (Israele, 2013) del geniale Roee Rosen che propone una finta antologia di lavori video di un gruppo di artisti radicali ex sovietici riparati in Israele, alternati ad alcuni brani del loro manifesto artistico.

Da barzellette fatte leggere a famosi artisti israeliani rapiti dal collettivo, a canzoni dedicate a ferri da stiro e pantaloni a video nei quali viene ucciso qualcuno tramite il voodoo fatto con la bambola di pezza (vediamo entrambi le situazioni in una doppia immagine, nel più classico degli split screen), Rosen imbastisce un discorso complesso sulla storia e la cultura di Israele ma anche sul rapporto tra l’arte contemporanea e il suo pubblico e, non ultimo, sull’impegno politico della e nella quotidianità. Una risposta altra rispetto l’orizzonte estetico (e politico) dei corti precedenti, che ci sembra la più avanzata e la meno autoreferenziale capace davvero  di parlare al pubblico, lo si capisce  anche dalla reazione delle persone presenti alla proiezione improvvisamente silenziose e ferme mentre per le proiezioni precedenti colpi di tosse e continui cambiamenti di posizione sulla poltrona tradivano una certo fastidio di fondo.

Festival Roma 2013 - 01 LogoL’arte per l’arte è noiosa anche al cinema…

Vi consiglio di visitare il sito internet di questo artista poliedrico la cui attività non comincia e non finisce con i video (questo film è il riassunto di un progetto di più ampio respiro presentato come istallazione d’arte).

Incantati e rapiti corriamo (si fa per dire) verso l’auditorium dove ci aspetta l’ultima proiezione del giorno, Juliette (Francia, 2013) splendida opera prima di Pierre Godeau nel quale assistiamo a un punto di svolta nella vita della venticinquenne Juliette attanagliata da un amore che non funziona per Antoine che cerca invano di dimenticare mentre flirta con altri giovani uomini che rimangono basiti nel vederla comportare con loro come loro normalmente fanno con le ragazze.

Un film nel quale si respira una profondità da romanzo grazie a una scrittura scenica come solo i registi francesi sanno fare. Un titolo da tenere in mente nella speranza che venga distribuito in Italia. Finalmente un film degno della sezione Alice nella città nella quale è in concorso,  che già gli altri anni ci ha regalato tante belle sorprese.

 

 

 

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