“Giorni Scontati” al teatro della Cometa di Roma: una regia più interessante del testo

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Giorni Scontatidi Alessandro Paesano

Dopo il debutto all’auditorium del carcere di Rebibbia nel dicembre 2010 la pièce Giorni scontati di Antonella Fattori e Daniela Scarlatti, diretta da Luca De Bei, torna dopo aver toccato diverse città italiane, ancora a Roma (esattamente un anno fa era al Dei Conciatori) al teatro La cometa riproponendo la sua storia ambientata in un carcere femminile che ha ricevuto tanti consensi da parte della critica e del pubblico.

La scena ritrae l’ambiente impassibile di una di detenzione, sviluppata per esigenze sceniche in larghezza – e dunque meno claustrofobica di quelle vere – dove quattro letti, sistemati per il lato lungo, sovrapposti nell’ingegnosa scenografia in metallo di Francesco Grisu, trovano comodamente spazio nel palco non grande del teatro,  che ospita tre detenute: l’autoritaria e virile Viviana, che si prende cura, per solidarietà tra compagne di cella e non per spirito materno, della carcerata Lucia il cui omicidio che l’ha portata in carcere ne ha minato definitivamente lo spirito tanto da necessitare di una terapia farmacologica, e la partenopea Rosa, rapinatrice di supermercati, in fissa per il suo uomo, inetto e dedito alle scommesse ippiche.

La commedia si apre con l’arrivo in cella della neocarcerata Mariapia, in taillerino optical, tradotta in carcere direttamente dal consiglio di amministrazione cui stava partecipando.

Queste semplici coordinate demografiche servono a Fattori e Scarlatti, le autrici del testo (che interpretano anche due dei personaggi) per inquadrare i comportamenti delle quattro donne, secondo una serie di stereotipi mai smaccati (la cinica Viviana che soccomberà sotto il peso del segreto dell’indicibile reato commesso; Mariapia snob borghese che solidarizza presto con le donne di classe sociale inferiore, la veracità della ragazza partenopea, i deliri della detenuta sotto psicofarmaci), tramite i quali viene indicata l’umanità delle quattro detenute  secondo un impianto narrativo che, mutatis mutandis, è ancora quello del film Nella città l’Inferno (Italia, 1958) di Renato Castellani.

Disperazione, solidarietà, ingratitudine, diffidenza, amicizia, sono sentimenti che si alternano nell’animo delle quattro detenute nell’arco dei sei mesi o poco più in cui si sviluppa la storia raccontata.

Se nel film di Castellani però il carcere veniva denunciato come luogo che rende criminali (come succede allo splendido personaggio interpretato da Giulietta Masina che in prigione perde quell’innocenza che la distingueva) le donne di Fattori e Scarlatti sopravvivono al carcere che costituisce per loro una esperienza di solidarietà umana a prescindere dai reati che ce le hanno condotte, come se il carcere fosse un accidente che è capitato loro del quale non hanno davvero responsabilità.

La pièce non si preoccupa mai di attribuire ai suoi personaggi la responsabilità politica dei reati da loro commessi, cioè quella di persone che vivono in una società assieme ad altre persone,  concentrandosi esclusivamente sul privato della vita di ognuno di loro, il privato precedente al carcere (con tanto di lacerti della loro infanzia) e quello che  il carcere ha cambiato (e non, come avviene in realtà, interrotto) senza addentrarsi mai davvero nel contributo collettivo che ogni esistenza porta perché si vive e si agisce sempre nella società, unico ambito nel quale commettiamo reati che ci portano in carcere.

Fattori e Scarlatti ci mostrano il dramma del carcere secondo il solito equivoco di prospettiva che vede nella perdita della libertà la più grande tragedia dell’incarcerazione mentre, semmai, si tratta dell’interruzione improvvisa di ogni relazione interpersonale da quelle lavorative a quelle amicali e, soprattutto, quelle sentimental-sessuali.

Giorni scontati si muove sui binari sicuri di una retorica edificante, nemmeno troppo smaccata e, anzi, decorosamente di buon gusto, ma non per questo meno inutile a far riflettere il pubblico sulle reali condizioni delle carceri  e delle persone detenutevi e sulla responsabilità collettiva di tutta la società e dunque anche del pubblico che assiste allo spettacolo, sulle complesse questioni legate alla pena detentiva  che dovrebbe avere uno scopo rieducativo e non punitivo e che purtroppo molto raramente ti migliora.

Non è infatti il reato commesso a collegare le protagoniste della pièce al pubblico ma l’umanità che resiste nonostante il reato e al di là della pena carceraria inflitta.

Questo ci sembra il limite più discutibile della pièce presentare i reati commessi dalle quattro carcerate come problema personale e privato e non come una questione squisitamente collettiva che riguarda tutta la cittadinanza non solo chi vive dentro il carcere senza nemmeno che i tanti problemi sistemici che affliggono gli istituti di detenzione italiani entrino a far parte della storia raccontata, nonostante il suo registro naturalistico.

La regia di Luca De Bei rende uno splendido servizio a questo testo da più versanti.

De Bei cura la recitazione, misuratissima, che non dà enfasi ai personaggi (interpretati dalle quattro attrici con franca bravura) senza calcare la mano sulla malattia mentale di Lucia (il cui recupero avviene però senza una vera spiegazione) o sul  regionalismo linguistico, trito e prevedibile, di Rosa che De Bei lima e riduce, compiendo un vero miracolo di spontaneità e credibilità.

La vita del carcere, che si svolge anche fuori dalla cella, che la pièce si guarda bene dal descrivere, è evocata da De Bei con un uso sapiente delle luci (splendide, di Maurizio Fabretti) sia quelle che vengono dal mondo esterno (i fuochi d’artificio della notte di San Silvestro) sia quelle che provengono dall’esterno della cella (quando la porta si apre per una delle quotidiane ispezioni corporali o per fare uscire o rientrare una delle detenute dirette a un colloquio).

Anche i monologhi interiori, tramite i quali ascoltiamo i pensieri intimi delle carcerate, sono sottolineati da una illuminazione distinta  e riconoscibile.

I suoni e le musiche, una delle cifre distintive delle regie di De Bei, contribuiscono elegantemente alla esecuzione narrativa del testo dai rumori della porta della cella che si apre o si chiude a quelli finali della strada quando, nella scena più emozionante della pièce, uno dei personaggi cammina di nuovo in mezzo alla gente, cioè letteralmente tra la platea, guardando il pubblico come una carcerata può guardare la gente per le vie dopo anni di reclusione, con un elegantissimo sfondamento della quarta parete che rende concreta la metafora teatrale, mentre le musiche piantonano le quattro protagoniste sottolineando contesti (con l’ausilio anche di programmi radiofonici e televisivi dei quali ascoltiamo qualche dialogo), sottotesti e sentimenti.

La visione dello spettacolo  è dunque molto piacevole ed emozionante e le quattro attrici interpretano i rispettavi personaggi con grande e profonda credibilità ma quello che nel testo lascia a desiderare è il sentimentalismo col quale richiama l’attenzione del pubblico preferendo commuoverlo piuttosto che farlo riflettere.

 
GIORNI SCONTATI

di Antonella Fattori e Daniela Scarlatti
con Antonella Fattori,

Daniela Scarlatti,

Giusy Frallonardo,

Paola Michelini,

regia Luca De Bei

Teatro della cometa fino a domenica 15 dicembre

 

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