La Scena Sensibile, splendida apertura nell’edizione del Ventennale

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Woodman 01 Cristianidi Alessandro Paesano

Io è un altro di  Alessandra Cristiani e Evelina Un accadere sensibile di Gianluca Bottoni e Cinzia Villari aprono la ventesima edizione de La scena Sensibile all’Argot di Roma.

Non poteva aprirsi in maniera migliore questa ventesima edizione de La scena Sensibile rassegna di teatro al femminile curata da Serena Grandicelli, al Teatro Argot Studio di Roma fino al 23 marzo.

Due gli spettacoli scelti per il debutto e messi insieme, si legge nel programma di sala, in un fluido passaggio.
Due performance molto diverse tra loro, la prima di danza, la seconda squisitamente sonora, che, insieme, rappresentano le potenzialità di una rassegna che da sempre ha cercato di offrire un panorama variegato del lavoro fatto sulla scena da donne che raccontano storie di donne.

Io è un altro di e con Alessandra Cristiani si lascia ispirare nella scena spoglia da alcuni scatti della fotografa statunitense Francesca Stern Woodman, morta suicida a quasi 23 anni, la cui produzione fotografica ha segnato un importante contributo nel panorama nordamericano e anche nell’avanguardia artistica italiana.

Lavorando spesso col proprio corpo, fotografato ed impressionato anche più di una volta nella stessa fotografia, Woodman si riappropria del corpo femminile, da sempre saccheggiato dallo sguardo maschile, facendo della riappropriazione di genere, cioè del corpo delle donne da parte delle donne, uno degli elementi fondanti del suo sguardo fotografico.
Nelle sue foto il corpo femminile non è più un oggetto da riprendere, spogliare e mostrare ma un soggetto che agisce nello spazio che lo circonda, modificandolo e lasciandovi un segno di sé.
Tramite il fare il corpo è così un soggetto che agisce, con e nella fotografia, e non un corpo che viene agito.Woodman 00

Questi elementi risuonano felicemente nell’immaginario coreutico di Alessandra Cristiani tanto che la sua danza costituisce un correlativo speculare all’agire fotografico di Woodman.

Proprio come Woodman impressiona nella pellicola, oltre al proprio corpo, il segno del suo passaggio, mostrando, nell’istante dello scatto senza tempo, il cambiamento che il soggetto agisce nello spazio fotografato, la danza di Cristiani rallenta il gesto e il movimento coreutici in una diluizione (di derivazione Buto) che si fa pura energia dell’istante, danzando in un infinito susseguirsi di istanti unici nel tempo e non nello spazio.

Nuda nella scena spoglia, in penombra, esposta a un pubblico troppo distratto a prendere posto per accorgersi della sua presenza,  Cristiani, in una assoluta immobilità sulla scena. diventa ben presto un segno talmente forte da indurre nel pubblico un silenzio spontaneo, prima che le luci calino ulteriormente a indicare che la performance sta per iniziare.

Cristiani si muove sulla scena lasciando al suo corpo la cadenza dei passi di una danza che è una esplorazione tanto dello spazio circostante quanto delle possibilità espressive del suo corpo.
Un corpo tonico, algido, squisitamente femminile ma che, nel darsi al pubblico nella sua nudità, è scevro di quella grammatica dello sguardo erotizzante maschile e maschilista. riaffermando una autonomia e una dignità femminili dove il corpo nudo è l’(auto)affermazione di un soggetto pensante, danzante, un corpo\soggetto creatore che modella lo spazio circostante e che non ne viene modellato in maniera omologa alle foto di Woodman.

All’interno di questo percorso coreografico Cristiani approda con pochissimi elementi di scena, uno specchio, un giglio reciso posto di quinta, delle fragole che le sporcano con il loro succo sanguigno il corpo, ad alcuni scatti di Woodman rievocandoli in dei tableau vivant, quasi, di rara eleganza ed efficacia, dei cammei, delle piccole isole di senso, dalle quali partire per iniziare un delicato gioco tra il corpo e la sua memoria come scrive la coreografa nel suo blog.

Una memoria fatta di pure vibrazioni del corpo alcune contorsioni del quale (come quando le spalle al pubblico, piega le spalle all’indietro portando il viso, sottosopra, in una posizione frontale) sono sempre finalizzate alla citazioni di alcuni scatti della fotografa statunitense durante il periodo in cui visse a Roma. In questo lavoro anche la musica subentra solo in un secondo momento, quando l’esplorazione spaziale ha già creato un habitat e fungendo dunque da strumento di esplorazione e non da fonte energetica del movimento, che nasce tutto dal corpo, dall’energia richiesta prima per il rallentamento dei movimenti e poi per il loro parossistico evolversi da quella stessa vibrazione d’energia sulla quale poggia tutta la nostra esistenza.

Una memoria che è la stessa in ogni tentativo di ciascuna soggettività di essere un individuo come la performance ricorda sin dal titolo, in quel riferimento a Rimbaud (Je est un autre), dove l’unicità e l’incomunicabilità di ogni singolo io è elusa dall’allestimento e dall’impiego delle immagini fotografiche, che hanno sostituito la parola, tramite le quali oggi approntiamo la costruzione sociale di ogni io,  tramite le quali ci presentiamo al mondo e che, al contempo, esistendo nel mondo ci ricordano che non siamo soli e sole.
Immagini che per Cristiani sono veri e propri strumenti in grado di metterci a nudo di fronte alle cose della vita e di ricondurci alle sorgenti misteriose dell’esistenza  come scrive sempre nel suo blog.

Le fotografie di Woodman nella rievocazione di Cristiani, anche se non riconosciute dal pubblico che può ignorarne l’esistenza, ne agiscono di nuovo la poetica, ribadiscono l’impatto e(s)t(et)ico che le sue fotografie ebbero rivivendo qui e ora in una coreografia che fa del corpo il fulcro di una costruzione che parte dallo specifico organico del femminile per approdare a quello sociale della donna.
Woodman 02Così indossato un abito nero, Cristiani beve del vino dopo aver scritto sulla parete di fondo del palco con il gesso la frase (di Woodman) You cannot see me from where I look at myself (t.l. Non potete vedermi da dove io guardo a me stessa) ricordando come delle immagini degli altri non facciamo esperienza che dal nostro punto di vista e che per comprendere le altre immagini dobbiamo cambiare punto di vista come fa Cristiani sedendosi, bicchiere di vino alla mano, dalla stessa parte del pubblico, a guardare anche lei la scritta, in uno dei più eleganti scavalcamenti di quarta parete cui abbiamo mai assistito.

Uno scavalcamento quello dell’io che diventa un altro io, l’altro da me, che ci richiama tutte e tutti, pur nella assoluta solitudine della nostra esistenza, verso una responsabilità collettiva,  perché Io è sempre un altro, è sempre altrove nella misura in cui ogni io cerca di affermarsi modificando lo spazio che lo circonda.

Danza e fotografia si incontrano nella coincidenza di un corpo che agisce, la danza come la fotografia, questa esistenza come quella alla quale Cristiani vuole partecipare anche come osservatrice pensante e mai come oggetto di pensiero.

Poi mentre Cristiani è seduta dal lato del pubblico le luci si spengono, la sala cade nel buio e senza soluzione di continuità comincia la perfomance Evelina Un accadere sensibile di Gianluca Bottoni e Cinzia Villari che si lasciano ispirare dalla memoria storica della nostra Resistenza, quando, nel settembre del 43, mentre nella Val Sangone nascevano spontanei i primi moti di resistenza all’occupazione nazista, la giovane pastora sordomuta Evelina Ostorero, non avendo sentito l’alt intimatole durante una rappresaglia dai nazisti, fu falcidiata da una raffica di mitra.
Quindici minuti per raccontare alcuni istanti di una delle tante vite recise dal nazifascismo dove la privazione visiva ricorda quella uditiva di Evelina e dove il buio amplifica, ribadendone la disperata necessità, il bisogno di tenere viva una memoria storica che i tempi attuali vogliono cancellata e edulcorata in un revisionismo storico fatto di fiction e coup de théâtre.

Alla fine Cristiani, che è ancora in scena, viene raggiunta per gli applausi da Bottoni e Villari.

Fermati attimo sei bello.

 

 

 

©alessandro paesano 2014
©gaiaitalia.com 2014
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