Di nubifragi sul Roma Fringe Festival, di compagnie che si lamentano e di feroci attacchi a noi critici

Altra Cultura

Condividi

Roma Fringe Festival - Logo 2di E.T.  twitter@iiiiiTiiiii

Non è nostra abitudine scrivere articoli di questo genere, ma ci sono momenti in cui bisogna schierarsi e come sapete questo giornale non si tira mai indietro quando c’è da farlo, soprattutto quando c’è bisogno di schierarsi al lato di manifestazioni culturali che hanno un senso, e danno un senso al teatro.

Parliamo del Roma Fringe Festival, che negli ultimi due giorni è stato vittima come tutta la Capitale di nubifragi eccezionali, tanto improvvisi quanto violenti, e che è stato costretto a sospendere alcune repliche. Perché contro Giove Pluvio difficile lottare è, direbbe Maestro Yoda.

Ciò che è chiaro a tutti, anche ai bambini, cioè che quando piove ciò che è all’aperto invitabilmente si bagna, e quando diluvia anche peggio, pare non essere chiaro ad alcune compagnie teatrali che non hanno potuto esibirsi e che hanno dovuto recuperare le loro repliche, a beneficio di noi critici, della stampa e di poco pubblico – dato che per cause di forza maggiore le repliche vengono recuperate nel pomeriggio – che si sono lamentate ed hanno manifestato la loro insoddisfazione per la pioggia e la collocazione pomeridiana degli spettacoli il giorno successivo, agli organizzatori.

Va detto che se gli organizzatori hanno una colpa è quella di non avere organizzato il Roma Fringe Festival in Benin nella stagione secca che dura tre mesi e non cade una goccia d’acqua neanche a pagare, e va detto altresì che le Compagnie affrontano spese e sacrifici per essere presenti con i loro spettacoli all’interno della manifestazione, ma nel bando del Festival non c’è scritto da nessuna parte che si garantisce bel tempo sennó si prende a pugni l’ecosistema, così che l’inutile manifestazione di insoddisfazione di certe compagnie ci lascia perplessi. E per più ragioni.

Su queste pagine siamo abituati a dire chiaro ciò che pensiamo di ciò che vediamo a teatro o al cinema; noi stessi, tutti i collaboratori solo assolutamente liberi di scrivere ciò che pensano, fermo restando il divieto alla diffamazione gratuita e alla pubblicazione di notizie non vere, esistendo la deontologia professionale nonostante certi esempi. Siamo invitati alle manifestazioni per parlarne.

Spesso nei foyer dei teatri troviamo appese stampe dei nostri articoli.

Anche rispetto agli spettacoli visti al Roma Fringe Festival non ci siamo censurati, scrivendo con chiarezza ciò che degli spettacoli pensavamo, e rivolgendoci anche agli organizzatori nell’unico caso in cui abbiamo pensato che uno spettacolo non avesse dovuto dovesse essere presentato in quella sede perché di un dilettantismo offensivo.

Gli attacchi che abbiamo ricevuto sono stati di una violenza inaudita: critiche agli spettacoli scambiate per offese personali, riferimenti ad altri spettacoli o citazioni non comprese e quindi scambiate per ulteriori offese, risposte al limite della minaccia (esistono le querele, sarebbe bene che chi scrive risposte piccate sui social se ne ricordasse), madri che si lamentano del fatto che si scriva che l’amato figlio regista non sa fare il regista, che neanche nella letteratura ad usum puellarum, e via di questo passo.

Ciò che intristisce non è tanto l’attacco al critico, alla critica, al fringe, alla direzione del fringe, ma è rendersi conto che chi mette in piedi uno spettacolo per un concorso, una manifestazione, un festival, lo fa senza un progetto, pensando di vincere perché sì, senza nessun tipo di preparazione al fallimento, senza rendersi conto che abbracciare una professione come quella del teatro vuol dire andare incontro a tanti fallimenti da non poterseli nemmeno immaginare, senza pensare che per realizzare il proprio sogno si dovrà lottare ferocemente contro difficoltà ben più grandi, senza valutare la possibilià di andare avanti nonostante tutto (la pioggia, le critiche, l’insuccesso, l’applauso – quanto dura un applauso? – il proprio ego).

Chi scrive ha recentemente saputo che una compagnia teatrale di cui ha recensito un brutto spettacolo e che doveva replicarne un altro ha fatto saltare quelle repliche per evitare (è evidente che si tratta di una scusa, ma prendiamo le cose come se fossero vere) che questo povero critico potesse di nuovo scrivere del loro inutile lavoro.

Tranquillizzando quei poverini dalle pagine del giornale che mi ospita – non assisterò mai più ad un loro spettacolo, nemmeno se il farlo mi garantisse la vita eterna – mi permetto un paragone tra questi saltimbanchi zoppi da due soldi e coloro che incolpano l’organizzazione del Roma Fringe Festival del maltempo: dato che siamo tutti vittima della stessa stupidità.

E a proposito del Roma Fringe Festival ribadirò ciò che ho già scritto: oltre al piacere di vedersi un’ottantina di spettacoli in quattro settimane, di vedere le platee piene, assistere al lavoro di giovani compagnie che ci danno dentro nonostante gli errori e i critici stronzi – ma è il loro mestiere – c’è anche quello di avere a che fare con uno staff che ti accoglie con sorrisi all’ingresso di Villa Mercede, che si ricorda il tuo nome e cognome, che discute con te pacificamente anche su posizioni distanti e distinte, che ti rispetta perché anche il tuo lavoro contribuisce al successo del Fringe.

C’è bisogno di un mondo di pace cari compagnie, attori, attoruncoli, autori sgrammaticati ed egopati vari. Di un mondo dove si impari che prendersela con gli altri non serve a nulla. Anche a questo servono la cultura ed il teatro.

Pensiamoci.

Anche noi faremo la nostra parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

(17 giugno 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©gaiaitalia.com 2014
diritti riservati
riproduzione vietata

 

 

 

Pubblicità